Archivio documenti ed attività per  la
Spiritualità familiare

 

1° incontro

 

I linguaggi dell’amore

 

Per ognuno di noi, uno dei cinque linguaggi dell'amore ci parla più in profondità rispetto ad altri a livello emozionale. Quando una persona parla il mio linguaggio dell'amore principale, io sono attratto da quella persona perché soddisfa il mio bisogno fondamentale di essere amato. Quando una persona non parla il mio linguaggio principale, mi chiederò se mi ama davvero, perché a livello emozionale io non la comprendo.

Un problema in molte relazioni umane è che voi e io parliamo il nostro linguaggio e ci domandiamo perché l'altra persona non comprenda. È come se io parlassi in inglese a una per- sona che conosce solo il tedesco e mi chiedessi perché quella persona non comprende il mio messaggio. Le relazioni umane migliorano molto, quando impariamo a parlare il linguaggio dell'amore dell'altra persona.

 

Ecco i 5 linguaggi dell’amore:

1. Parole d'incoraggiamento

Servirsi di parole per incoraggiare l'altra persona è un modo per esprimere amore. «Questo vestito ti sta bene. ..Hai fatto un buon lavoro. Apprezzo il fatto che tu ti sia impegnato fino alla fine... Grazie per aver pulito la tua stanza... Apprezzo che tu abbia portato fuori la spazzatura»,  sono tutte espressioni d'incoraggiamento. Altre possono essere: «So che hai lavorato molto a questo progetto e voglio che tu sappia che ho veramente apprezzato quello che hai fatto. ..È stata un' ottima cena... Grazie per tutto il tuo lavoro».

Ci sono migliaia di modi per esprimere incoraggiamento a parole. Queste affermazioni possono riguardare il comportamento, l'aspetto fisico o la personalità della persona. Le paro- le possono essere dette, scritte o persino cantate. Per le persone il cui linguaggio principale dell'amore è quello delle parole d'incoraggiamento, queste parole sono come 'una pioggia di primavera su un terreno arido.

 

2. Momenti speciali

I momenti speciali consistono nell'offrire a una persona la vostra attenzione esclusiva. Con un bambino piccolo, si tratta di sedersi con lui sul pavimento e far rotolare la palla accanto a lui, Con il coniuge, possono consistere nel sedersi con lui o con lei sul divano e parlare, o fare una passeggiata voi due soli, guardarvi e parlarvi. Per un adolescente, un momento speciale può essere portarlo a pescare e dirgli com'era la vita quando voi avevate la sua età, poi chiedergli quali differenze riscontra rispetto alla propria esperienza. Per un adulto single, un momento speciale può consistere nel progettare un'occasione con un amico nel corso della quale passino un po' di tempo insieme. L'importante non è l' attività, ma il fatto che trascorriate tempo insieme. Quando offri- te a qualcuno momenti speciali, gli date parte della vostra vita. È una profonda comunicazione d'amore.

 

3. Doni

Offrire doni è un'espressione universale d'amore. I doni dicono: «Questa persona ha pensato a me. Guarda che cosa ha preso per me». Tutti, bambini, adulti e adolescenti, apprezzano i regali. Per alcune persone, i doni costituiscono il linguaggio principale dell'amore. Nulla li fa sentire più amati che ricevere un dono.

I doni non devono essere necessariamente costosi. Quando fate un'escursione, potete raccogliere una pietra di forma o colore originale, portarla a casa e darla a un bambino di dieci anni, dirgli dove l'avete raccolta e dirgli che avete pensato a lui. Posso quasi garantirvi che, quando quel bambino avrà ventitre anni, terrà ancora quella pietra sulla sua scrivania.

4. Gesti di servizio

«Le azioni parlano più forte delle parole», dice un vecchio adagio. Questo è vero per le persone il cui linguaggio principale dell'amore è quello dei gesti di servizio. Fare qualcosa che sapete che l'altra persona gradirebbe che voi faceste è un'espressione d'amore. Può trattarsi di cucinare un pasto, lavare i piatti, passare l'aspirapolvere, falciare l'erba, pulire il forno, fare il bagno al cane, dipingere le pareti di una stanza, lavare l' auto, accompagnare lo studente di terza superiore all'allenamento di calcio, riparare il vestitino di una bambola o sostituire la catena di una bicicletta. L'elenco potrebbe continuare all'infinito. La persona che parla questo linguaggio cerca sempre di fare qualcosa per gli altri.

Per le persone il cui linguaggio principale è quello dei gesti di servizio, le parole possono essere vuote di significato, se non sono accompagnate da gesti di servizio. Il marito dice: «ti amo» e la moglie pensa: «Se mi amasse, farebbe qualcosa». li marito può essere sincero nella sua affermazione, ma a livello emozionale non si fa comprendere dalla moglie, perché il linguaggio di lei è quello dei gesti di servizio; in assenza di questi ultimi, lei non si sente amata.

Una moglie offre doni a suo marito, ma se il suo linguaggio dell'amore è quello dei gesti di servizio, lui si domanderà: «Perché non occupa il suo tempo pulendo la casa invece di acquistarmi doni?». Si è detto: «La via per il cuore di un uomo passa per lo stomaco» non è vero per tutti gli uomini, ma potrebbe esserlo per gli uomini il cui linguaggio principale dell'amore è quello dei gesti di servizio.

 

5. Contatto fisico.

Il potere emozionale del contatto fisico è noto da molto tempo. È questo il motivo per cui prendiamo in braccio i bambini e li coccoliamo. Molto prima di conoscere il significato dell'amore, il bambino si sente amato tramite il contatto fisico. Abbracciare e baciare un bambino di sei anni mentre sta per andare a scuola al mattino è un modo per riempire il suo serbatoio d'amore e prepararlo così a una giornata di studio.

Se il linguaggio principale dell'amore del bambino è il contatto fisico, per lui nulla è più importante. L'adolescente il cui linguaggio principale dell'amore è il contatto fisico potrebbe ritrarsi dai vostri baci e abbracci, ma questo non significa che non desideri un contatto fisico. Associa i baci e gli abbracci all'infanzia. Non è più un bambino. Dovete dunque imparare nuovi dialetti, nuovi modi di proporre il contatto fisico all'adolescente. Una pacca sulla spalla, una gomitata al momento giusto, una lotta improvvisata sul pavimento, un abbraccio dopo un duro allenamento sportivo riempiranno il serbatoio d'amore dell'adolescente. Se smettete di offrirgli contatti fisici, questo adolescente non si sentirà amato.

  

Domande per il dialogo

§         Qual è il tuo linguaggio principale dell’amore?

§         Hai scoperto qual è il linguaggio principale dell’amore del tuo coniuge?

§         State scoprendo il linguaggio principale dell’amore dei vostri figli?

 

 

2° incontro  

Fondamenti biblici dell’amore

 

Premessa

Il famosissimo inno all'amore di san Paolo, permette di andare subito al cuore della prospettiva che cercheremo di offrire in questa riflessione alle radici dell'amore:

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi l'amore io sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne ma non possedessi l'amore non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato .ma non avessi l'amore niente mi giova. (l Cor 13, 1-3).

Paolo presenta l'amore come una pista da percorrere, anzi lo ritiene l'autentico dinamismo della vita cristiana: per Paolo l'amore non è un bene che possa essere conseguito una volta per sempre, ma un valore da conquistare faticosamente, quotidianamente, una pista da percorrere spesso in salita. Per san Paolo l'amore è il traguardo dell'esistenza umana, l'obiettivo dell'essere uomini.

Da questo inno si comprende che è rischioso pronunciare il termine "amore" troppo in fretta. Il rischio è che non dica più nulla. L'inno di Paolo ricorda che la parola amore è un termine per sua natura sintetico. San Paolo continua: L 'amore è paziente, benigno, non si vanta, l'amore, non si gonfia, non manca di rispetto..

San Paolo cerca di spiegare ai Corinzi cosa sia l'amore con questo elenco: l'amore non cerca il suo interesse, non si adira, e non gli sembra ancora abbastanza, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si compiace della verità. L'amore tutto copre, tutto crede, tutto sopporta. Insomma, san Paolo dice che se si pronuncia troppo in fretta la parola amore si rischia di renderla enfatica, vuota.

In questo senso fanno sorridere quelle frasi che pretendono con uno slogan di definire la parola amore. Per san Paolo bisognerebbe essere un po' più complessi. Bisognerebbe dire: l'amore è anche paziente, l'amore è anche benigno, ecc. L'amore di per se è come un'anguilla che continuamente ti sfugge di mano. Il termine amore allora cerca di esprimere la complessità dell'intima essenza vitale dell'uomo.

Nella prospettiva paolina inoltre l'amore è il coefficiente che moltiplica tutto: Queste dunque, le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e l'amore, ma di tutte più grande è l'amore. Nella prospettiva biblica l'amore, questa intima essenza vitale dell'uomo, permette all'uomo di essere uomo, di essere se stesso.

Per san Paolo l'amore deve saper gioire per la verità (cfr. v. 6). Nel nostro caso deve saper gioire delle verità umane proposte dalla Bibbia; delle verità proposte da Dio affinché l'uomo possa comprendersi e comprendere il senso del proprio esserci nel mondo e possa dare significato agli eventi che vive.

 

1. Accompagnare nel cammino dell'amore

È prendersi cura di un triplice bisogno fondamentale dell'uomo: quello di comprendersi, quello di dare significato agli eventi che si vivono Riflettere sulle radici bibliche dell'amore umano, delineando la proposta di uomo che emerge dalla pagina biblica è far conoscenza dell'Adàm biblico, del modello di umanità che emerge dalla Bibbia. Il percorso sarà quindi di antropologia biblica.

L'antropologia biblica, è la proposta di uomo che offre la Bibbia. Per questo è fondamentale cercare di comprendere, di conoscere sia la Parola di Dio espressa in un concreto ambiente storico, sia l'ambiente culturale nel quale viviamo.

Questo approccio storico va in controtendenza col presentismo che regna nell'ambiente, va contro il soffocante presentismo che respiriamo oggi. I giovani nel '68 dicevano di se stessi: io sono la mia storia. Tra gli anni '85 e '90 i giovani dicevano di se stessi: io ho una storia (quindi un rapporto più debole con la propria storia). I giovani del 2000 dicono: oggi sono stato bene. Il presentismo che regna attualmente è una sorta di calamita che attira a se il passato per neutralizzarne la forza evocativa. Ma non attira solo il passato: vuole inglobare a se anche il futuro per esorcizzare la sua potenzialità incerta e minacciosa. Tutto si esaurisce ciò di cui ho bisogno ora.

 

2. Due 'giardini" a confronto

Nei testi biblici fondativi, ci riferiremo soprattutto a Genesi 1-3, vi è la presenza di un luogo intermedio, un luogo simbolico, dove l'uomo può essere se stesso: il giardino dell'Eden (cfr. Genesi 2, ma anche il "giardino" di Genesi 1, dove la creazione stessa è intesa come il grande giardino dove l'uomo può trovare il proprio posto). Penso che oggi sia quanto mai necessario mettere a confronto, far dialogare il "giardino biblico" con il giardino nel quale viviamo, giardino che noi definiremo post-moderno, vale adire l'ambiente culturale che domina il nostro tempo.

Tale confronto ci obbligherà a dialogare con i linguaggi propri di questo giardino post-moderno. Tra le cause della difficoltà di comunicare la bellezza della proposta biblica dell'amore umano c'è sicuramente il divulgare di una lingua completamente estranea a quella di oggi.

Iniziamo la nostra "passeggiata" in questi due giardini, con lo scopo di arrivare ad individuare alcune radici bibliche dell'amore umano.

2.1 Prima caratteristica del giardino post-moderno

L'ambiente vitale nel quale viviamo oggi si caratterizza per una forte frammentazione e per una forte frammentarietà.

La frammentarietà è una statua che viene rotta in tanti pezzi: tutti i valori vengono demoliti, fatti a pezzi; non c'è più una roccia sicura sulla quale fondare per sempre la pro- pria esistenza, sulla quale scommettere per sempre la propria vita; pensiamo per esempio ai colpi inferti all'istituto matrimoniale.

La frammentazione è una cosa ancora peggiore: si ha quando la statua viene fatta a pezzi e poi questi vengono mischiati creando una totale confusione. Se qualcuno volesse ricostruire la "statua" dei valori su cui generazioni e generazioni hanno fondato la loro esistenza, non riuscirebbe nemmeno a trovare l'ordine con cui iniziare a ricostruire il puzzle distrutto.

Oggi ci percepiamo come inserito in un mondo disordinato, nel quale è difficile trovare il senso dell'insieme. Spesso non sappiamo dove collocarci, avvertiamo di non avere un posto nel mondo, abbiamo difficoltà sempre più grandi a trovarlo e quindi a trovarci. Più o meno consapevolmente ci sentiamo dimenticati da Dio, noi diremo: ci sentiamo dimenticati da un ordine più grande, in grado di dare un senso al suo esistere. Nel giardino post-moderno respiriamo l'idea che la storia sia sfuggita dalle mani di Dio.

2.2 Prima caratteristica del giardino biblico

Ci riferiremo ai sette giorni della creazione (Gen 1). La Bibbia propone questa verità: il mondo non è caos, non è disordine, quindi ha un senso, e l'uomo è posto in questo giardino il sesto giorno, avendo così un posto ben preciso, al vertice della creazione.

Sappiamo che Genesi 1 è stato scritto al tempo dell'esilio, in un periodo nel quale gli Israeliti pensavano di essere stati dimenticati da Dio, che la storia fosse davvero sfuggita dalle mani di Dio: raccontando il racconto della creazione agli esiliati l'autore di Genesi 1 vuole far ricordare alloro cuore che la storia è invece saldamente nelle mani di Dio: In principio Dio creò il cielo e la terra. Tutto è nelle mani di Dio, un ordine c'è! Esiste un ordine, un orizzonte di bello, di buono, di senso nel quale è collocato l'uomo.

Prima radice biblica dell'amore umano, con cui siamo chiamati a confrontarci, è la fiducia che la storia che stiamo vivendo è saldamente nelle mani di Dio. La vita e la storia hanno un senso.

2.3 Seconda caratteristica del giardino post-moderno

L'ambiente culturale post-moderno pone un'attenzione particolare sul soggetto inteso nella sua individualità. Respiriamo continuamente un clima culturale che potremmo definire ad alta soggettività. Il giardino post-moderno ipertrofizza l'io di chi lo abita. Essendo in primo piano l'io, chiaramente in questo giardino gli altri vengono messi da parte, in ombra, diventano delle variabili dipendenti e subordinate a me.

Nel giardino post-moderno c'è l'inflazione dell'io per cui gli altri, fondamentalmente, danno fastidio. Il diverso da me è un potenziale nemico, una minaccia alla mia persona. La prossimità è un disvalore. Fondamentalmente in questo giardino cresciamo con la convinzione che l'uomo debba bastare a se stesso senza lasciarsi coinvolgere in relazioni interpersonali decisive. Meglio chattare: il porre il mio volto di fronte al volto dell'altro coinvolgerebbe troppo.

2.4 Seconda caratteristica del giardino biblico

A tale eccedenza di io la Bibbia propone il giardino di Genesi 2 nel quale risuona una considerazione divina che sempre provocherà l'autosufficienza post-modema: Non è bene che l'uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» ( Gen 2, 18).

Per Genesi 2 la solitudine dell'uomo è una nota stonata nella sinfonia dell'esistenza umana.

Nel giardino di Genesi l'uomo è educato alla presenza dell'altro, a dare voce all'altro, anzi, in questo giardino è l'altro che mi definisce. Adàm, infatti, è ancora l'essere umano indifferenziato; si scoprirà uomo solo quando entrerà in relazione con donna: La si chiamerà 'isshah, (donna), perché da 'ish, (uomo), è stata tolta. L'altro dice la mia individualità, l'altro dice la mia personalità. Quindi il giardino di Genesi 2 educa alla relazione con l'altro.

Allora l'uomo disse: questa volta essa è carne della mia carne, ossa delle mie ossa. (Gen 2, 23): con la presenza dell'altro l'uomo comincia a parlare. Con gli altri esseri viventi non parlava.

Per dire che due persone si vogliono bene, in un dialetto italiano si dice: i se parla, si parlano. In Genesi 2 l'altro è possibilità di porsi in dialogo, in relazione. Per la Bibbia non esiste uomo se non è in relazione. Genesi 2 presenta un giardino che invita l'uomo, per essere se stesso, a mettersi in gioco nella grande sfida delle relazioni interpersonali. Chi non è in grado di relazionarsi finisce solo per servirsi dell'altro, sfruttandolo.

Seconda radice biblica dell'amore umano: al giardino post-moderno la Bibbia propone un modello di uomo che si realizza nella relazione con il diverso da se. Per Genesi 2 l'origine dell'amore umano è l'accoglienza della diversità.

2.5 Terza caratteristica del giardino post-moderno

L'ambiente culturale post-moderno sostanzialmente consacra la banalizzazione della sessualità. Nel giardino post-moderno il sesso è presentato come trasgressione; persino gli adolescenti iniziano a fare esperienza della propria sessualità molto presto.

Nel giardino post-moderno la sessualità è spesso morbosità, e appare come un mero strumento commerciale: riviste, filmini, spettacoli, tv private, numeri telefonici, prostituzione.

Nonostante l'apparente libertà che la cultura post-moderna ci vuol far credere di avere nei confronti della sessualità, nei nostri occhi si può scorgere l'angoscia per l'incapacità di integrare una delle dimensioni fondamentali dell'essere uomo.

2.6 Terza caratteristica del giardino biblico

Nel giardino biblico invece si respira uno sguardo sereno sul sesso. Anzi, la serenità che il libro di Genesi presenta circa la sessualità sembra essere un ideale da raggiungere: Ora tutti e due erano nudi (Gen 2, 25). Non per dire che deve scomparire il senso del pudore, ovviamente, ma perché la sessualità, secondo la Bibbia, nel suo valore più alto, è trasparenza, autenticità, bellezza, purezza.

Nella prima Lettera ai Corinzi, capitolo 6, versetti 12-20, san Paolo, presentando osservazioni sulla sessualità, termina dicendo: Glorificate Dio nel vostro corpo, qui il greco sarx (corpo) si riferisce, visto il contesto, agli organi genitali. In questa prospettiva, le esperienze sessuali non si riducono ad un banale e occasionale incontro di organi sessuali, ma perfezionano la relazione tra due persone sessuate.

Se nel giardino post-modemo spesso si ha la sensazione che il sesso sia stato inventato dal marketing, nel giardino biblico veniamo a sapere che l'inventore del sesso è Dio in persona: A immagine di Dio li creò; maschio e femmina li a creò (Gen 1, 27): la sessualità in questo giardino è presentata come una scintilla dell'amore di Dio per l'umanità. L'umanità sessuata diventa icona di Dio: non riconoscere questo significherà provare vergogna, significherà avere paura dell'altro (cfr. Gen 3).

Il messaggio del Cantico dei Cantici ci ricorda che l'uomo non ha un corpo, bensì che è corpo. Per il Cantico dei Cantici la sessualità è per la felicità dell'uomo e della donna. Potremmo dire che i valori della sessualità nel giardino biblico si esprimono con tre parole: procreativo (dà la vita); ricreativo (il sesso, nel quale giochiamo tutta la nostra esistenza. È una vera e propria occasione di gioia che Dio ci ha donato); creativo (ci si crea e ricrea reciprocamente, rende più uomo e rende più donna).

Perché il sesso ha tanta importanza tabuistica, trasgressiva nel giardino post-modemo? Perché provoca piacere; se il sesso non fosse piacere non darebbe fastidio a nessuno; contro una certa mentalità dobbiamo avere il coraggio di dire, attraverso una sana educazione all'amore, che più grande è il piacere che i due coniugi si donano reciprocamente, più virtuoso è il loro rapporto. Impegnarsi a far felice il proprio partner, per essere felice: è un grande valore della sessualità in prospettiva cristiana.

Potremmo parafrasare la famosa frase genesiaca  “non è bene che l'uomo sia solo” con “non è bene che l'uomo appaghi solo se stesso nel rapporto di coppia”

Terza radice biblica dell'amore umano: l'uomo è sessuato, e il piacere che ne deriva è un grandissimo dono che Dio fa all'uomo affinché diventi dono e dedizione, quindi è giusto ringraziarlo.

Penso che questa sia una radice robusta se desideriamo entrare nel giardino post-modemo. Il giardino post-modemo regge sull'ambiguità del piacere sessuale. Noi abbiamo in mano una radice fortissima per iniziare a dialogare con questa potenzialità che purtroppo anche ai nostri giovani viene presentata come qualcosa da commercializzare.

Conclusione

Il giardino post-modemo propone una vita banalizzata mentre la proposta biblica esige un uomo che abbia il coraggio di giocarsi totalmente, di sbilanciarsi, di esigere, ed esigere vuol dire rischiare, fidarsi. Gli esempi della Bibbia in questo senso sono innumerevoli. Vorrei concludere prendendone uno dal Nuovo Testamento. È tratto da Giovanni 6, dove si parla della moltiplicazione dei pani. Secondo Giovanni quell'episodio è una prova a cui Gesù sottopone i suoi discepoli. Ci sono cinquemila uomini da sfamare: chi darà loro da mangiare? Filippo dice: “nemmeno duecento denari sarebbero sufficienti per dare un pezzettino di pane ciascuno”; è     Andrea insiste: “sono troppi, congediamoli”.

C'è un uomo con cinque pani e due pesci, ma sono pochi. Per Filippo e Andrea il loro poco equivale a niente, che è esattamente la prospettiva post-modema: vivi del poco che ti offre il tuo egoismo; non fare progetti di vita troppo impegnativi; non lasciarti coinvolgere nelle relazioni: è troppo poco quello che puoi promettere, troppo poco quello che sei, tanto vale quindi non impegnarsi.

Gesù invece col suo gesto di moltiplicare il poco che i discepoli avevano, capovolge la prospettiva: il poco che si possiede può essere comunque donato. Che siano duecento denari oppure cinque pani d'orzo e due pesci, il calcolo da fare nella prospettiva biblica non è se siano sufficienti o meno, ma se si è capaci di investirli totalmente.

Questa è la radice biblica più profonda circa l’amore umano: investire totalmente se stessi in un progetto dl vita, trovando in Dio la forza di scommettere su un per sempre donato e vissuto nella quotidianità. Tale atteggiamento renderà consapevoli anche i nostri giovani che anche il post-moderno è un tempo redento da Cristo, un uomo-Dio che si è donato totalmente per ciascuno dl noi.

 

 

Domande per il dialogo

§         Quali riflessioni provocano in me questo brani del Nuovo e dell’Antico Testamento?

§         Come penso di poter vivere l’amore oggi, da uomo/donna di oggi, senza tradire la Parola di Dio che mi dà indicazioni valide in ogni tempo?

§         Cosa posso dire ai figli in proposito?

 

 

 

Incontro Natalizio

 

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (1,35-46)

Il giorno dopo, Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.

Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: "Che cosa cercate?".

Gli risposero: "Rabbì -che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?".

Disse loro: "Venite e vedrete".

Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “abbiamo trovato il Messia" - che si traduce Cristo.

Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: "Seguimi!". Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.

Filippo trovò Natanaele e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret".  Natanaele gli disse: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi".

 

ANALIZZIAMO IL TESTO

Inseriamo il brano, appena letto, nel contesto del vangelo di Giovanni. Nei primi capitoli l’evangelista presenta Gesù attraverso sette segni miracolosi.

La chiamata dei primi discepoli avviene non appena Giovanni Battista ha testimoniato che Gesù è il Messia, l'Evangelista sceglie due diverse scene:

la prima scena coinvolge due discepoli del Battista, di uno non viene detto il nome, mentre l'altro è Andrea, il quale coinvolge il fratello Simone (che Gesù chiamerà Pietro).

nella seconda scena entrano Filippo e Natanaele (che, si ipotizza, sia il discepolo Bartolomeo).

Approfondiamo ora il testo, versetto per versetto:

Il giorno dopo...

Il testo è molto preciso riguardo ai tempi, addirittura, vedremo, menziona I 'ora esatta in cui avvengono i fatti. Siamo nel terzo giorno della settimana iniziale del Vangelo di Giovanni.

E' un giorno intermedio è, quindi, quello che oggi chiamiamo un giorno feriale: ci ricorda che l'incontro con il Signore avviene nella vita di tutti i giorni. Non si attende una grande solennità, un avvenimento importante, ma "il mezzo del cammino", dentro la nostra storia personale e nella storia familiare che stiamo condividendo e scrivendo con i nostri cari. Gesù passa quando meno ce lo aspettiamo, la nostra famiglia deve essere pronta ad accoglierlo: in un giorno come gli altri lui passa per incontrarci.

Giovanni, fissando lo sguardo su Gesù che passava...

Il verbo fondamentale del brano è "vedere". E' un atteggiamento che coinvolge tutta la persona. "Fissare lo sguardo" vuol dire "tenere gli occhi fissi su Gesù" e non allontanarli più dalla sua persona.

Chi vede Gesù vede il Padre e, nello stesso tempo, scopre la sua vera identità di creatura, ma non solo di creatura, la vera identità del cristiano è quella di essere figlio.

La famiglia che fissa Gesù non lo perde mai di vista. Quando si sente abbandonata, sa che non esiste la solitudine completa, anche nello scoraggiamento e nel dolore non perde la speranza.

Sentirci creature di Dio significa riconoscere la sua opera creatrice, significa riconoscere che siamo stati creati perché desiderati da lui. Ma Gesù ci fa compiere un passo avanti: non siamo solo creature, siamo figli di Dio. La nostra famiglia è formata da figli di Dio e la sua stessa nascita -attraverso il sacramento del matrimonio- è avvenuta nella grazia di Dio.

...disse: "Ecco l'agnello di Dio"

Giovanni testimonia la verità su Gesù. E' lui il "Verbo" di cui l'evangelista ha parlato nel prologo al suo vangelo.

...sentendolo parlare così seguirono Gesù

Siamo passati dal "vedere" al "seguire". Nella Scrittura troviamo spesso la stessa sequenza: si vede e quindi si comprende, poi però la visione, la conoscenza spinge all'azione. I discepoli, vedendo Gesù, hanno compreso che è lui il messia e quindi non possono fare a meno di seguirlo.

Allo stesso modo, la famiglia che prende coscienza dell'amore che il Signore riversa su di lei, non resta solo seduta a guardarlo, ma vive la propria fede in modo concreto.

Gesù allora si voltò e osservando che essi lo seguiva no disse loro: "Che cosa cercate?"

Evidentemente lo sguardo di Gesù non lascia nessuno indifferente.

Che cosa cerchiamo? Perché ogni giorno ci impegniamo ad amare la persona che abbiamo accanto, ogni giorno educhiamo i nostri i figli cercando per loro il meglio del meglio? Quando li vegliamo la notte, quando ci dimentichiamo di noi stessi? Che cerchiamo quando preghiamo, quando ci sacrifichiamo per gli altri? Che cosa stiamo veramente cercando?

"Rabbi dove abiti?"

Come rispondono i discepoli alla domanda di Gesù?

Non sanno rispondere, allora rivolgono loro stessi una domanda. Chiedere dove abiti, significa voler sapere come lui vive: "mostraci come vivi e sapremo chi sei veramente" Vivendo nella sua casa, in comunione con Lui, è possibile creare la dinamica giusta per una sequela che diventa scelta di vita. Stare con Gesù significa rendersi disponibili ad ascoltare, a vedere, a contemplare, a gioire e soffrire con Colui che è Signore della vita.

"Venite e vedrete"

Gesù risponde invitando personalmente ad incontrarlo. Ma è necessario che essi si muovano, lascino il posto che occupano per andare con lui. Gesù, prima di proporre un'attività, un servizio, una missione, chiede di incontrarlo, di lasciarsi conquistare dal suo amore, per mettersi poi alla sua sequela.

La famiglia può conoscere Gesù fissando gli occhi sul suo sguardo, ascoltando la sua Parola, contemplando in essa tutti i gesti di accoglienza, le parole di perdono e di tenerezza che lui ha verso ogni persona. La famiglia può leggere nelle parole del Vangelo di Gesù un percorso di vita fatto di amore, lontano dal male.

La famiglia può incontrarlo sempre nella preghiera e nei sacramenti.

"Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella legge e i profeti; Gesù, il Figlio di Giuseppe di Nazareth".

I discepoli affermano che Gesù è colui di cui parla tutto l'Antico Testamento. Gesù proprio lui, anche se le sue coordinate anagrafiche non dicono assolutamente nulla, perché Nazareth era una località insignificante, mai menzionata prima nella Sacra Scrittura.

 

COME GESU'

Che cosa impariamo da questo incontro di Gesù con i primi discepoli? Il racconto ci offre una serie di scambi: uno guarda, l'altro guarda a sua volta, uno domanda ed invita a guardare meglio. Chi ha colto l'invito e ha visto, va a sua volta a chiamare gli altri perché vedano. ..

AI centro di tutto c'è Gesù che chiede di condividere il suo stile di vita, un progetto esistenziale, chiede di vivere come Lui un amore fino all'estremo limite. Gesù invita a seguirlo in questo modo di vivere

 

Come Gesù verso il nostro sposo / verso la nostra sposa:

viviamo la nostra fede con gioia, consapevoli dell'amore che ci avvolge, leggiamo ogni avvenimento della giornata come lo avrebbe fatto Gesù, con misericordia verso chi sbaglia, con comprensione, con perdono, mai con odio o con desiderio di rivalsa o di vendetta verso chi ci vuole male. Una coppia di sposi che si apre agli sguardi verso tutti sa guardare il prossimo immedesimandosi nel suo mondo diverso dal nostro, nei suoi desideri, nelle sue paure e debolezze. Solo così può iniziare quel difficile cammino che porta alla comprensione tra persone, al rispetto reciproco e costruttivo di relazioni positive.

 

Come Gesù verso i nostri figli:

insegniamo loro a saper trovare il buono che c'è in ogni persona. Evidentemente Gesù non poteva non trovare difetti piccoli, grandi o enormi nelle persone che sceglieva o che frequentava. Lui sapeva amare veramente e quindi riusciva a riconoscere in tutti qualcosa di buono. l nostri figli assorbono da noi il nostro modo di considerare l'altro. Offriamo loro le chiavi per fidarsi o meno di chi incontrano, ma evitiamo che vedano nel prossimo il male assoluto che dividano il mondo delle persone solo nei colori bianco e nero.

Etichettare come “rifiuto” una persona che ha sbagliato e, forse, continua a sbagliare, la esclude dalla nostra vita, la cancella come prossimo.

 

Come Gesù in comunità:

nell'impegno in comunità, in parrocchia ci capita di commettere, a volte senza accorgercene, degli errori nei riguardi delle persone. Succede di desiderare che altre persone, nuove forze, condividano l'impegno in parrocchia, ma nel momento in cui questo avviene, capita che queste nuove persone, che ci si presentano davanti, non sono come le avremmo desiderate: pensiamo che non siano all'altezza, abbiamo dei dubbi sulle loro intenzioni sincere, abbiamo l'inconscia paura che le loro capacità siano maggiori delle nostre e che possano toglierci degli spazi che abbiamo conquistato con fatica e sacrificio. Capita così che il gruppo dei laici più impegnati in parrocchia sia un gruppo assolutamente chiuso che, invece di accogliere l'altro così come faceva Gesù, indirettamente lo respinge ed egli, non sentendosi accolto, si allontana.

"Quella coppia ci chiamava solo perché voleva farci andare al gruppo, da quando abbiamo cortesemente detto che non potevamo non ci chiama più, eppure ci sembrava che ci cercassero per amicizia"

Un altro errore che facciamo è quello di voler avvicinare le famiglie solo per farne delle persone impegnate in parrocchia, magari per ingrandire il nostro gruppo delle coppie, per fare questo perdiamo di vista il rispetto per la persona, perdiamo la possibilità di stringere delle amicizie sincere che invece non debbono mai essere finalizzate ad altro.

 

 

Domande per il dialogo

§         Posso affermare di aver incontrato Gesù?

§         Lo so annunciare e testimoniare agli altri, soprattutto ai figli?

 

  

3° incontro

Dall’innamoramento all’amore

 

1. Una cosa che capita

Facile, anzi elementare. Qualcosa che ha la semplicità di un'evidenza che si impone. Tutti saremmo in grado di descriverne alcuni connotati macroscopici. Allora proviamoci. Anzitutto l'innamoramento capita. Non lo puoi prevedere né, tantomeno, programmare. La cosa è dell'ordine di quegli avvenimenti che ti "prendono in contropiede": imprevisto, a volte persino inopportuno.

San Tommaso nel suo De passionibus, uno dei capolavori dell'intelligenza psicologica dell'umano che neanche la psicanalisi ha reso inutile, ne parla come di una passio. Etimologicamente il termine indica proprio un subire, un accusare il colpo. E il sostantivo italiano affetto "prende a prestito" una forma verbale passiva, usa- ta normalmente per indicare una malattia. Dunque l'innamoramento mi accade, senza chiedere il permesso alla mia liberta. Il mio io si imbatte, a tutta prima, in un tu che lo attrae e ne subisce il fascino. L'innamoramento ha inizio in quell'attimo di sorpresa stupefatta ed è già riconoscibile in questo sguardo. Esso ha la stessa stoffa di quello del bimbo piccolissimo che, per la prima volta; vede il volto della mamma chino su di lui o quello di Andrea e Giovanni, mentre, sulla riva del Giordano, interrogavano Gesù di Nazareth: «Maestro, dove abiti?» (Gv.1,38)

Qualcuno lo ha acutamente definito come uno "stato di grazia": un evento da cui l'io è gratuitamente messo in moto. Da tale trasformazione che subito affiora nello sguardo, è investita tutta quanta la persona, come genialmente ci documenta Dante descrivendo l'ultimo, definitivo incontro con Beatrice: «Men che dramma di sangue m'è rimasta che non tremi: conosco i segni de l'antica fiamma»

Qual è, dunque, il segreto di una tale potente attrattiva che invita a seguirla? È l'emergere di un' affinità profonda, una sorta di armonia prestabilita. Così viene destato il desiderio, quindi la tensione inesorabile al possesso dell'amato, passaggio obbligato verso il gaudio.

Un brevissimo nota bene. Ciò che fin qui ci siamo semplicemente limitati a registrare nell'esperienza umana elementare la dice lunga su quella che Balthasar definisce natura drammatica dell'io. L'uomo non è un essere statico, ma è sempre "in azione". Non è una monade autosufficiente, ma rivela una strutturale apertura verso l'altro, da cui dipende la sua realizzazione. Un altro mi fa. Un altro mi compie. Quella degli affetti (non

dimentichiamo che affetti e lavoro sono le due dimensioni in cui si esprime la vita come vocazione) è la prima scuola per l'affascinante lavoro della conoscenza di se, che fa la statura di un uomo.

Il primo livello dell'esperienza affettiva ha dunque a che fare anzitutto con un dato: qualcosa mi accade. In prima battuta si deve registrare una certa passività.

 

2. Ad un uomo libero

Qualcosa accade, ma non nello stesso modo con cui può capitare ad un animale: qualcosa accade a me uomo razionale e libero. In altri termini, dato che l'uomo è uno di anima e di corpo {Gaudium et spes 14), la sua esperienza affettiva affonda le radici sia nel terreno della realtà bio-psichica sia. in quello della realtà spirituale. Se e vero che abbiamo in comune con gli animali istinti ed inclinazioni, è altrettanto vero che noi siamo chiamati a vivere le inclinazioni e gli istinti secondo la forma specifica della nostra razionalità. Noi non mangiamo come i cani! Tant’è che ne è nata una cultura, multiforme e spesso raffinata, della tavola.

Può capitare (e in un mondo spesso confuso come il nostro non è difficile) che un uomo, a sessant'anni e dopo trentacinque di matrimonio, s'innamori della segretaria di vent'anni, più giovane del minore dei suoi figli. O, più semplicemente, che una ragazza, dopo un fidanzamento pluriennale, giunta alle soglie del matrimonio, "perda la testa" per un altro...

Il problema non è stracciarsi le vesti perché è avvenuto, imputandolo subito agli interessati come una colpa, ma essere leali con tutta la propria storia e le persone in essa implicate, con tutti i fattori della realtà, interna o esterna all'io, per decifrare il senso oggettivo di quel che è capitato.

Infatti l'orizzonte adeguato, che permette all'io (ragione e libertà) di respirare "a pieni polmoni" e non rinchiudersi asfittico fino a soffocare, è la totalità. La totalità dell'io e della sua storia in costante paragone con la totalità del reale. Anche se tale orizzonte può dare le vertigini e costare sacrifici. Così, se sono sposato, un innamoramento non mi è dato per rompere i definitivi patti già assunti. Se mai è vero il contrario! Mi è dato perché nella rinuncia io impari ad amare di più e con maggior verità anzitutto coloro con i quali mi sono già impegnato.

Dal travaglio della madre che mette al mondo il suo bambino fino alla passione del Figlio di Dio «per noi uomini», nelle esperienze affettive più profonde e radicali, una cosa appare evidente: non c'è amore senza il passaggio della croce. In questa prospettiva il sacrificio è la condizione positiva di quel dono di se che ci realizza.

Iniziata sotto i segni di una certa passività, l'affezione si rivela come la più impegnativa delle attività!

 

3. L’irrompere sulla scena dell'altro

La misura del desiderio umano (lo abbiamo visto parlando della libertà) è la totalità. Dall'invincibile ardore del grande Ulisse, fino al voglio tutto della piccola Teresina di Lisieux, sono innumerevoli le testimonianze di questa "magnanimità" (alla lettera: grandezza dell'animo) che, prima di essere una virtù morale, è un incancellabile carattere della nostra natura originale. Un connotato della nostra ontologia, direbbero i filosofi. Misconoscerla o disprezzarla significa imboccare il tunnel dell' insoddisfazione.

Poter essere definitivamente amati e poter amare "per sempre": non c'è uomo o donna che non sentano la verità affascinante e irresistibile di questa prospettiva. E che, d'altra parte, non debbano ammettere la propria strutturale incapacità a mantenerla aperta nel giudizio e nell'azione. L'infinito, ciò a cui il nostro io anela con tutte le sue forze (davvero è capax Dei!), non è alla nostra portata!

La soddisfazione non si trova sulla stessa linea del compiersi pacifico del desiderio di essere definitivamente amati. C'è uno iato da affrontare, un salto che implica lo staccarsi da se per far posto all'altro. Qualcuno l'ha acutamente definita “la strana necessità del sacrificio”: è la paradossale legge evangelica del «perdersi per ritrovarsi». Siamo entrati, a questo punto, nel campo dell'autentica gratuità. E non è un caso che il termine abbia in se la stessa radice della parola grazia.

 

4. Una miscela esplosiva

Ogni giorno di più una campagna massiccia e martellante, usando sapientemente tutti i canali massmediatici (dagli spot pubblicitari fino alle "cattedre" più autorevoli e frequentate: le rubriche degli esperti) ce ne convince. Per salvaguardare l'inalienabile diritto alla tua auto-realizzazione tu devi (è il nuovo imperativo categorico!) alimentare continuamente la fiamma del desiderio moltiplicando indefinitamente le esperienze. Si cerca in questo modo di afferrare li «per sempre» del desiderio sostituendo la qualità con la quantità.

In altra occasione, tentando di identificare i tratti più caratteristici della mentalità dominante circa le dimensioni costitutive dell'io, ho definito il trend qui abbozzato come clima erotistico pervasivo.

Esso prende alimento da tre radici della storia dell'amore in Occidente rintracciabili nel libertinismo, nel romanticismo e nell'attuale consumismo. Alla originaria prospettiva libertina dell'amore che dichiara lecito ogni rapporto sessuale tra il più forte e il più debole (un tempo il potente signore poteva usare degli schiavi a suo piacimento} si sostituisce, nell'ottica liberale, la variante che è lecito ogni rapporto sessuale tra adulti consenzienti.

Abolendo la differenza sessuale si abolisce l'altro che viene ridotto a corpo, una macchina per il proprio piacere.

Di segno opposto (ma solo apparentemente) è la concezione romantica dell'amore. Rifiutandone la riduzione a puro meccanismo per la produzione del piacere, rivendica spazio alla passione, all'irrompere assoluto e devastante (è l'affermazione del binomio amore-morte) di un tu irresistibile. L'amore è trattato come una malattia mortale, da cui non ci si può, ne ci si deve, difendere. Ma l'analogia è per difetto perché neanche davanti alla più aggressiva delle forme tumorali ci si arrende con tanta facilità!

La cosiddetta rivoluzione sessuale degli anni Sessanta ha esteso alle masse la forma libertina dell'amore, mescolandola sapientemente con alcuni elementi di quella romantica. Come brace sotto la cenere tutto questo, coperto sotto la falsa idea di libertà precedentemente tratteggiata, è oggi messo a disposizione di tutti, alla stregua dei prodotti di un grande supermercato.

In tal modo la sinergia tra la concezione libertina e quella romantica dell'amore, amplificata dai potenti mezzi della civiltà della comunicazione e dei consumi, dà luogo ad una miscela esplosiva che può distruggere l'umano.

 

 

Domande per il dialogo

§         Come percepisco la mia libertà?  Mi sento libero di fronte agli istinti, ai sentimenti?

§         Mi pare che nella nostra coppia ci sia innamoramento? 

§         Siamo riusciti nello stesso tempo a passare allo stadio dell’amore maturo?

§         Come influisce l’arrivo dei figli in questo cammino?  E la loro crescita?

 

4° incontro

L’amore: qualcosa di evidente eppure inesprimibile

 

Abbiamo visto il versante soggettivo dell'amore, descrivendo la modificazione che esso provoca nell'io. Tentiamo ora di descriverne quello oggettivo: che cos'è l'amore preso in se stesso?

Ma non senza prima aver fatto un nota bene. Tutti i fenomeni elementari sono complessi. Più difficili da spiegare che da vivere, dicevamo. Per questo c'è sempre un primato della vita sulla dottrina.

Provatevi a definire cosa sia la bellezza... eppure anche un primitivo o un analfabeta la sa riconoscere a prima vista, tanto che, di fronte all'incanto del tramonto del sole o del sorgere della luna (pensiamo alla novella di Pirandello "Ciaùla e la luna"), cade in ginocchio, vinto dalla sua dolcezza. Così accade per l'amore: «Nessuno tra i poeti ed i pensatori ha trovato la risposta della domanda: "Che cos'è l'amore" [...] Volete imprigionare la luce? Vi sfuggirà di tra le dita». Potremmo anche usare la parola mistero, liberandola però da quelle incrostazioni (oggi tornate di moda) che la identificano con l'ignoto, il territorio inquietante di forze oscure, occulte, ostili all'uomo e restituendola al suo significato cristiano. Mistero è qualcosa di reale che s'impone all'esperienza pur sfuggendo alla "presa" dominativa della ragione. Insondabile, ma presente e profondamente corrispondente al cuore dell'uomo (di qui la sua semplicità).

«Si comprehendis, non est Deus» dice sant' Agostino, riferendosi al Mistero per eccellenza, che è all'origine di ogni più profonda esperienza umana, in primis dell'amore. Come abbiamo visto, in forza della differenza sessuale, l'io è spinto verso l'altro dal suo interno. Non si tratta, anzitutto, di un problema etico. L'uomo, in prima istanza, non va verso l'altro per dovere. Egli ci va strutturalmente (per un insuperabile dato ontologico}. Dunque l'amore, in senso proprio, nasce dall'obiettivo rapportarsi di un soggetto ad un altro soggetto.

Nessun uomo, se vuol compiere se stesso, può prescindere dall'amore. Anche quando lo abbia così sfigurato da scambiarne il vertice (il dono di se} con il suo antivertice (l'odio}. L'altro è l'imprescindibile oggetto dell'amore (l'espressione è ovviamente impropria se riferita alla persona: l'altra persona è sempre un soggetto} .

«Amerai il Signore, Dio tuo e il prossimo come te stesso» (Lc 10,27}. Nel comandamento che sintetizza tutta la Legge ed i Profeti è visibile la classica tripartizione degli oggetti dell'amore (se, il prossimo è Dio}. A ben vedere poi, a livello di una riflessione generale come la nostra, essi si lasciano ricondurre a due: amore di sé ed amore di Dio. Infatti il comandamento ci dice che bisogna amare il prossimo come se stessi, ma la tradizione ci insegna che la «ratio diligendi proximi Deus est»: Dio è la regola ultima dell'amore del prossimo. Chiarire che rapporto ci sia tra amore di se ed amore di Dio offre la chiave per interpretare adeguatamente il significato e le relazioni fra i tre oggetti dell'amore.

2. Amore dell'altro e amore di se

Tra l'amore dell'altro (e l'altro irriducibile, l'unico veramente tale, è Dio) e l'amore di se c'è compatibilità o incompatibilità? Di più: è davvero possibile amare l'altro di un amore gratuito, totalmente disinteressato? Lewis, ad esempio, afferma: «Solo uno sciocco e uno sfrontato avrebbe l'ardire di presentarsi davanti al suo creatore con questa pretesa: "lo non vengo qui a mendicare; ti amo disinteressatamente"».

Se, da una parte, la totale abnegazione con cui Madre Teresa amava i poveri raccolti sulle strade di Calcutta ci appare più degna del nome di amore dell'esaltazione sempre un po' narcisistica degli amori adolescenziali, dobbiamo ammettere che nel nostro Occidente emancipato il secondo modello è sempre più diffuso! Anzi la sottolineatura egotistica è talmente marcata che ogni scelta di sacrificarsi per l'altro è sentita un po' con sospetto, come una minaccia al proprio bene-essere. Talvolta questo tipo di amore-dedizione potrà essere rispettato, perfino ammirato (sempre comunque nei termini di un fenomeno elitario, inaccessibile ai comuni mortali), ma più facilmente verrà obiettato, attaccato, perfino deriso (l'ostentato disprezzo -ma veramente tale?- di Nietzsche per Cristo ha lasciato il segno!).

Prendendo a prestito due termini della filosofia antica, tornati alla ribalta grazie ad un fortunatissimo libro la domanda iniziale, ridotta all'osso, potrebbe essere così riformulata: eros e agàpe, un aut-aut?

Cominciamo con il dire che la grande tradizione cattolica non ha mai contrapposto la forma dell'amore che cerca la piena affermazione di se (eros), a quella che, per affermare l'altro, accetta la piena rinuncia a se (agàpe).

«Charitas incipit ab ego-ne». Nell'affermazione forse un po' brutale ma profondamente realistica, di San Tommaso -che a sua volta la riprende da Aristotele - la particella enclitica ne ha valore rafforzativo. Enfatizza l'ego. La carità, cioè la forma più sublime dell'amore (cfr. 1 Cor 13), incomincia dall'amare il proprio io. Dunque la contrapposizione tra eros e agàpe non appartiene alla sensibilità cattolica. Essa ha origine nella "theologia crucis" luterana. Il modello supremo dell'amore, il Crocifisso, dimostrerebbe, secondo Lutero, che

per amare è necessario rinnegare se fino all'annientamento totale. Il peso dato alla croce finisce per mettere totalmente in ombra la resurrezione.

Invece, per conoscere il volto autentico dell'amore bisogna guardare al dispiegarsi totale dell'esperienza umana di Cristo. Il modello supremo dell'amore è certamente il Crocifisso, ma il Crocifisso risorto. Gesù, per seguire l'intera traiettoria del proprio desiderio, accetta di inscriverlo dentro la volontà del Padre: «non come voglio io, ma come vuoi tu» (M t 26,39b). E questa accettazione implica la sua adesione pienamente consapevole. Ma rinunciando a se per aderire al Padre, Gesù sa che il Padre si fa carico del Suo compimento. Ed in effetti il Padre Lo risuscita.

Così, fatte le debite distinzioni, è per noi. L'istintivo moto con cui l'uomo allunga le mani per afferrare l'oggetto del proprio desiderio (come in modo potente lo raffigura il genio artistico di Giotto nel suo «noli me tangere») può sfociare nel più squisito atto oblativo di libertà, se accetta che sia un altro a dettare le condizioni della propria realizzazione. In questa scelta, capace di sacrificio, l'uomo gioca l'inverarsi dell'amore di se nell'amore del proprio bene.

l' esperienza quotidiana ce ne offre decine di esempi nel rapporto tra madre e figlio, padre e figlio, uomo e donna, amico ed amico... Ogni volta che l'altro ci mobilita colpendoci con uno sguardo, un sorriso, una parola, un rimbrotto, una provocazione, un'intuizione... immediatamente ci protendiamo verso di lui nel desiderio del compimento, ma un istante dopo siamo tentati di strumentalizzare il tutto, incapsulandolo in un disegno nostro. Invece solo se accettiamo il sacrificio di lasciare essere l'altro come altro, ridimensionando la nostra spinta egotistica, possiamo raggiungere il compimento del nostro desiderio. Ma non bisogna scandalizzarsi di questo doppio movimento della libertà, rintracciabile in ogni nostro atto.

Per dire io devi auto-possederti. Ma questo autopossesso, subito dopo, deve fare i conti con la necessità dell'uscita da se, dell'andare verso l'altro, oggetto o persona che sia. Due forze (una centripeta ed una centrifuga) sono sempre in gioco in ogni atto della libertà e, a fortiori, in quello più personale: l'amore.

Il problema a questo punto potrebbe essere così riformulato: qual è la strada che consente l'attuazione del proprio bene oggettivo evitando la caduta nell'egoistica pretesa del realizzarsi da se?

La risposta ce la suggerisce, ancora una volta, Gesù: «Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà, chi invece l'avrà perduta la salverà» (Lc 17,33). È il segreto dell'evangelica povertà dello spirito. È, per coloro cui è data la grazia di riconoscerlo, la " direttissima " verso il definitivo possesso dischiusa dalla verginità consacrata. «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi, per il mio nome riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt. 20,29).

3. Da venere alla Trinità: è sempre amore

La strada dell’amore ci chiede quindi di seguire il desiderio fino in fondo: dal territorio ben noto dell'affezione naturale fino a quello, misterioso eppure irresistibile, dell'infinito, accettando il passaggio inevitabile dal territorio del sacrifico di se. La Trinità, creando l'uomo, vi imprime fin dai suoi più elementari dinamismi biologico-istintuali e fin nelle pieghe più recondite della sua affettività un movimento ascendente che lo spalanca verso la sua natura trascendente.

Per cogliere qualcosa del mistero dell'amore è dunque necessario riconoscerne la costitutiva struttura analogica (il prefisso greco ana significa in su e rimanda al movimento ascendente cui abbiamo fatto cenno).

Così dopo avere esplorato, per sommi capi, l'ampia plaga dell'amore, indagandone la dimensione orizzontale, ora, utilizzando il faro dell'analogia, proviamo a gettare un fascio di luce, sia pure per pochi istanti, sulla sua profondità, illuminandone la dimensione verticale.

Per questo non sarà inutile, anzitutto, spendere qualche parola sullo stesso termine analogia. Esso fa riferimento ad un approccio conoscitivo che consente di trattenere sotto la stessa categoria realtà tra loro distinte che, pur differenziandosi talora anche radicalmente, hanno in comune alcuni caratteri. Se io, ad esempio, posso dire: «Dio, l'uomo, l'animale, l'albero, il sole, questa penna.. sono (esistono)», significa che posso trattenere tutte queste realtà sotto la stessa categoria di essere. Pur nell'ovvia constatazione che Dio non è nello stesso modo in cui è l'uomo, o che di te non posso dire che sei nello stesso modo con cui lo affermo di questa penna, tuttavia devo riconoscere che Dio, l'uomo, questa penna, come tutte le realtà, hanno in comune l'essere.

L'analogia, dunque, lungi dall'essere uno schema linguistico o mentale che noi applichiamo alla realtà, ci permette di cogliere la realtà e di coglierla in profondità.

L'uomo è un microcosmo che, in qualche misura, ripropone in se l'intero macrocosmo. D'altra parte, come abbiamo visto, Dio ha voluto imprimere in lui la propria immagine, collocandolo in una situazione di ponte tra il Creatore ed il resto del creato, tra l 'Infinito ed il finito.

Tornando allora alla questione centrale, quella dell'amore, chiediamoci se e perché, in base al principio dell'analogia, si possano abbracciare tutte le possibili manifestazioni dell'amore.

Già il grande Tommaso aveva parlato di amor naturalis persino a proposito degli esseri inanimati. Ogni ente, anche questo tavolo, in quanto tende a permanere nella sua essenza, possiede un'inclinazione intrinseca al suo Fattore «<Colui che dà a tutti la vita e il respiro ad ogni cosa», At 17,25b), che lo trattiene nell'essere, secondo il grado che lo contraddistingue.

«O amore che sei tale anche quando divieni completamente degenere» scriveva Guglielmo di Saint-Thierry. E Lewis lo rincalza, nel suo arguto saggio I quattro amori, rivendicando il diritto di tutte le espressioni dell'amore ad essere definite con un'unica categoria. Anche la forma più degradata dell'amore mercificato, che egli chiama venere, non cessa di possedere, sia pur gravemente sfigurati, i tratti dell'amore e così deve essere chiamata. Il fatto che l'amore si attui in gradi che possono presentare una differenza abissale, non impedisce loro di mantenere, in tutte queste flessioni, il nome di amore.

Nella vasta gamma degli analogati l'amore tra l'uomo e la donna (l'amore nuziale) ha un ruolo paradigmatico: dal livello della vita animale a quello umano, su su fino all'ineffabile vertice della Vita divina, sempre sono in qualche misura rintracciabili i lineamenti costitutivi del mistero nuziale: differenza, dono di se e fecondità. Se il livello più basso della vita animale si esaurisce nell'intracosmico e perciò l'accoppiamento di due animali mette in campo una differenza sessuale che è pura genitalità, la sessualità umana, pur radicandosi nell'intracosmico, lo supera e svetta verso il trascendente, aprendosi alla forma più alta dell'amore trinitario in cui la differenza tra le Persone divine vive dentro la più perfetta unità, In questo caso l'inesauribile apertura all'Altro è eternamente feconda, Ma la diversa natura della differenza negli animali, nell'uomo e in Dio imposta, come vedremo, un diverso concetto di fecondità.

«Per mezzo di Lui tutto è stato fatto» (Gv 1,3 ), Se creando Adamo il Padre ha in mente Cristo, così dando vita alla coppia Adamo-Eva ha in mente la coppia Cristo-Chiesa.

La verità della nuzialità si dispiega allora totalmente nel momento in cui, compiendo il gesto dell'estrema offerta di se sulla croce, Cristo genera la Chiesa, sua sposa, In tal modo egli inaugura la nuova e definitiva modalità di vivere quell'originaria apertura all'altro che è l'inconfondibile cifra costitutiva dell'amore,

Tutta la Bibbia trabocca della categoria della nuzialità: dall'Antico Testamento, con le stupende pagine del Cantico dei Cantici, di Isaia, di Geremia, di Osea", fino al libro che conclude il Nuovo, l' Apocalisse, in cui, per indicare il destino di gloria che ci aspetta in Paradiso, viene utilizzata l'immagine delle nozze dell'Agnello. E non è certo un caso che l'ultima pagina della Sacra Scrittura si chiuda sulla struggente invocazione della

Sposa al proprio Sposo: «E lo Spirito e la Sposa dicono “Vieni Signore Gesù” (Ap 22,17,20)

La dimensione nuziale del mistero dell’amore ci consente di penetrare tutte le sue espressioni: da quella degenerata fino a quella sublime che vive nella Trinità. Attraverso il mistero nuziale l'amore sfolgorante di Dio non cessa di offrire all'uomo la possibilità del “per sempre”, cioè di compiere il proprio desiderio.

Anche quando l'uomo si smarrisce nei territori confusi dell’egoismo colpevole, il Padre per grazia, continua ad elargirgli la possibilità di ritrovare la strada della felicità. Dobbiamo solo accettare il libero e benefico sacrificio del cambiamento, domandando il perdono

 

 

Domande per il dialogo

§         Definire l’amore è quasi impossibile.  Ma come lo posso descrivere?

§         Secondo me, quale è il rapporto tra Eros e Agape?

§         Come posso vedere la mia vita spirituale nella “categoria della nuzialità”?

§         La nascita e la crescita dei figli, come influiscono sulla nostra comprensione di cosa è

           l’amore?

 

 

5° incontro

La promessa dell’amore per sempre

 

Anzitutto un breve nota bene sul sacramento, nel cui orizzonte si svolgerà tutto il capitolo. Non è difficile che, dicendo sacramento (e, tanto più, sacramento del matrimonio), molta gente oggi pensi ad una sorta di cornice (riti, formule, tradizioni) aggiunta ad una partita che si gioca tutta tra i due sposi. Invece il sacramento mette in campo un terzo "giocatore". E non si tratta di una comparsa, ma di Gesù Cristo, Colui che rende possibile lo svolgimento della "partita" stessa. Il sacramento mette in campo la libertà infinita dell'Unico capace di condurre la libertà finita dei protagonisti alla vittoria. Di salvare il contenuto della promessa inscritta nell'amore.  Essa appare connotata da tre tratti irrinunciabili: la stabilità, il carattere pubblico dell'amore e la fedeltà.

a) Un legame stabile: «Chi si ferma è perduto» sembra essere il motto di questo nostro mondo ossessionato dal cambiamento, calamitato dalla novità. Tutte le cose invecchiano in un giro di tempo sempre più breve e si deve cambiare. Dall'auto, al PC, al cellulare...

In un simile contesto parlare di stabilità appare fuori luogo e fuori tempo. Eppure è il per sempre che esalta il desiderio ed apre la strada all'autentica soddisfazione. Quando hai incontrato qualcosa che ti corrisponde profondamente non hai il problema di abbandonarla, ma quello di non perderla più. Perciò novità non è frenesia di cambiamento, ma l'approfondirsi di quella bellezza che ti ha conquistato all'origine.

Non per nulla uno dei pilastri della Regola di san Benedetto su cui si è costruita la civiltà europea è la stabilitas. Il grande Abate ha parole durissime contro i monaci irrequieti e volubili, che cercano tutte le scuse per allontanarsi dall'abbazia, perché l'evasione è la grande nemica della libertà.

b) Un legame pubblico: «E tutto il mondo fuori». Ancora una volta i testi dei cantautori fanno da cassa di risonanza ad una modalità sempre più diffusa di concepire e di vivere il rapporto tra l'uomo e la donna. Un'enfasi emotiva ed intimistica è posta sulla coppia e il legame tra i due viene vissuto come un fatto privato, lasciato all'arbitrio assoluto delle loro libertà. Non è difficile scorgervi la riduzione tutta moderna della libertà alla pura possibilità di scelta. Quella di un uomo che non riconosce nulla all'infuori di se e della propria misura breve ed immediata.

Ma è un gioco pericoloso in cui è sempre in agguato il rischio di distruggere ciò che all'inizio si voleva a tutti i costi affermare. Partito con l'intenzione di difendere l'autenticità del rapporto da ogni "ingerenza" esterna non fa che infragilirlo, L'usanza, rintracciabile da sempre in tutte le società, di dare un riconoscimento pubblico all'amore che nasce tra l'uomo e la donna {dalla consegna dell'anello, alla presentazione ufficiale alle famiglie d'origine, fino alla celebrazione del vero e proprio patto del matrimonio) è la potente trascrizione simbolica di un'istanza profondamente umana.

Ciò che non è in qualche modo suggellato pubblicamente è avvertito come ancora acerbo e, perciò, precario, insicuro. li protrarsi fin dentro la condizione adulta del segreto adolescenziale dei primi innamoramenti segna una allarmante battuta d'arresto del naturale processo di maturazione del rapporto affettivo tra l'uomo e la donna. Infatti il passaggio dall'innamoramento all'amore implica naturalmente il passaggio dall'esaltante scoperta di una totale reciprocità all'assunzione di una responsabilità di costruzione comune. L'amore tra l'uomo e la donna è pubblico perché destinato ad edificare, attraverso il matrimonio e la famiglia, la società e la Chiesa.

c) Un legame fedele: «Vi sfido (non mi stanco di ripetere ai giovani) a dire alla ragazza di cui siete sinceramente innamorati: "ti amo”, senza aggiungere: “per sempre”. Potreste anche, subito dopo, essere assaliti dal dubbio (a cui la cultura dominante porta mille rinforzi) di non farcela a mantenere questa promessa. Eppure nessuna fragilità umana e culturale riuscirà a strappare dall'amore umano la sua naturale predisposizione al "per sempre". Del resto, come abbiamo visto, è la struttura stessa del desiderio a protenderlo verso l'infinito. Quindi la fedeltà nell'amore tra l'uomo e la donna non è una fissazione anacronistica dei cristiani, ma appartiene all'essenza dell'amore, ne costituisce un irrinunciabile connotato. Tanto che, come acutamente nota Von Balthasar, la sua mancanza è un sintomo inequivocabile della mancanza dell'amore. “«Dove c' è infedeltà non c' era nessun amore”. Dove c'è fedeltà non occorre che ci sia ancora amore. Il cuore può dire: "Anche se non posso amarti, ti voglio essere almeno fedele". Ma il legame della fedeltà porta sempre all'amore o, almeno, contiene nel suo fondo, inconsapevole al cuore, al sentimento, il nodo dell'amore che viene annodato al di là del tempo.

«L'uomo non osi separare ciò che Dio ha unito» (M t 19,6b) Sempre, come vedremo parlando dell'indissolubilità, la volontà di Dio, che Gesù è venuto a rivelarci, si dimostra la più potente alleata della struttura originale del cuore dell'uomo.

2. Fragilità e grazia. Offesa e perdono

Ma l'uomo è impotente a realizzare questa capacità d'infinito che fin dall'origine connota il suo cuore. Non solo infatti la sua è la libertà di una creatura e, come tale, è finita; ma è anche una libertà ferita dal peccato.

«Vedo il bene e lo riconosco, ma finisco con il fare il male» registra la saggezza di uno scrittore pagano. E san Paolo la rinforza: «Non faccio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio» (Rm 7,19). Tra il mio desiderio e la sua soddisfazione c' è uno iato, una rottura che io non riesco a ricomporre.

Dalla drammatica contraddizione in cui si dibatte l'uomo, da solo, non riesce a liberarsi.

C'è bisogno di qualcuno che ci liberi dal male. Al grido dell'uomo, di quello di oggi come quello di sempre, Dio risponde con le parole di inarrivabile umanità della Liturgia della sua Chiesa: «Perché ti struggi d'amarezza? Ti porterò io a salvezza, non temere. Sono infatti il tuo Signore, il Santo d'Israele, tuo Redentore».

Il compimento del nostro desiderio di amare e di essere definitivamente amati non è alla nostra portata. La salvezza non giunge come l'esito di uno sforzo delle nostre mani, ma come l'irruzione della forza di un Altro a cui devo dire sì. Se alla perfezione della libertà non basta la scelta, perché richiede l' adesione all'infinito, la massima esaltazione della libertà passa molto di più attraverso la semplicità di un continuamente rinnovato che dallo sforzo, anche eroico, della nostra immaginazione e del nostro calcolo. Ne è una prova luminosa l'esperienza umana di Maria e di Suo figlio.

Il percorso fatto fin qui, esplorando il "guazzabuglio" -come direbbe il Manzoni- del cuore dell'uomo, ci può ora aiutare a cogliere meglio il profondo realismo e la totale convenienza di alcuni termini-chiave della nostra fede come grazia e sacramento. Come dicevamo all'inizio del capitolo, il sacramento non è qualcosa di astratto o di giustapposto all'umano, ma piuttosto la sorgente inesauribile della sua verità, il luogo paradigmatico di ogni gesto dell'uomo.

Bastino, come esempio, due brevi cenni ai sacramenti dell'Eucaristia e della Riconciliazione. L'Eucaristia è la perenne elargizione del dono totale di se che Cristo ci fa fino all'offerta della propria vita. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Nella gratuità assoluta di Gesù c'è la polla sorgiva e la strada per imparare, nella lunga pazienza del tempo, la verità dell'amore.

Il sacramento della Riconciliazione è il segno concreto ed efficace che l'ultima parola sul nostro male è misericordia. «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,8b). «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Così il perdono diventa una possibilità inesauribile. Mai forse come nel perdono vicendevole tra il marito e la moglie emerge la novità assoluta del cristianesimo. La grazia del sacramento introduce nel rapporto una sorta di "stima previa" per cui io posso guardare all' altro non per quello che fa -fosse anche l'offesa più devastante-, ma per quello che è. Cioè il segno più vicino della presenza di Cristo alla mia vita. Uno che Lui ha amato e per cui dà la vita, esatta- mente come per me. Ed è possibile parlare di «ascesi dell' ammirazione, come volontà di riconoscere e sostenere il bene che c'è nell'altro». Così l'autentico rapporto tra il marito e la moglie rivela ancora, dopo molti anni, una crescente ed insospettabile freschezza, perché non è seppellito sotto i detriti dei limiti, delle resistenze e dei peccati propri e dell'altro. Anzi, la grazia del sacramento fa sì che questi possano trasformarsi in fattori di un cammino: gradini per la risalita verso la verità e non tomba che schiaccia e uccide la vita.

Pensiamo, per esempio, ad una moglie che -come succedeva forse più spesso un tempo- abbia un marito ubriacone. Quella donna sapeva benissimo di doverci viverci insieme per tutta la vita; non è che potesse molto illudersi circa il suo cambiamento! Ogni due o tre sere se lo doveva veder tornare a casa ubriaco e ricominciare daccapo... Dove trovava l'energia per riprendere, ogni volta? In una dignità umana generata dalla fede. Perché per quella donna era ovvio e fuori discussione che fosse più importante il fatto che il Padre eterno le avesse affidato quell'uomo per tutta la vita della capacità di suo marito di non ubriacarsi più... E questa sua scelta alla fine si rivelerà tutt'altro che disumana.

Certo una magnanimità così può apparire oggi come un miraggio. Invece, per usare la parola più adeguata, è un miracolo. Il miracolo della fedeltà! Il miracolo dice infatti l'irrompere dentro l'umano di un fattore nuovo, capace di modificarlo radicalmente, introducendo un cambiamento inspiegabile con i puri fattori antecedenti. Il miracolo è l'irrompere del divino dentro l'umano. La fedeltà matrimoniale, in forza del rapporto tra Cristo Sposo e la Chiesa Sposa, è via normale per questo miracolo. Siamo, ancora una volta, tornati sulla soglia del sacramento.

3. Il matrimonio

«Et Verbum caro factum est» (Gv 1,14). L'Incarnazione, il fatto che il Figlio di Dio -l'Onnipotente, l'Infinito, l'Eterno- sia entrato nel grembo di una donna e si sia fatto uomo è, senza ombra di dubbio, il più grande miracolo di tutti i tempi. La logica dell'Incarnazione continua nel sacramento. «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10). Alla radice del bene che i due sposi si vogliono c' è il bene che Dio Padre, in Gesù, vuole loro. li dono perfetto fino all'offerta totale di se di Cristo-sposo alla Chiesa, sua sposa, dà forma al dono del marito a sua moglie. In un certo senso si può dire che, servendosi dell'argilla del loro amore umano, lo riplasma. E lo fa a immagine e per opera del «dono dei doni»: lo Spirito Santo.

L'insopprimibile spinta all'unità, posta dal Creatore nell'uomo e nella donna fin dall'origine «L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie. E i due saranno una sola 'carne», Gn 2,24) può realizzarsi pienamente in forza della stretta di Cristo che li fa una cosa sola con Lui.   «Che siano una sola cosa, come tu, Padre sei in me e io sono in Te» (Gv 17,21b). Nella preghiera di Gesù al Padre l'aspirazione di ogni uomo a diventare una cosa sola con la persona amata trova sicura garanzia.

Questo rende ragionevole, realistico e profondamente umano che uno dica all'altra: <do prendo te [...] e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e di onorarti per tutti i giorni della mia vita». Fare questa promessa prima di poter conoscere quello che verrà -e la vita può riservare anche sorprese molto drammatiche!- non è affatto una follia perché essa appoggia sul gesto di Cristo. Se infatti la consegna totalmente incondizionata di se all'altro dovesse far leva unicamente sulla propria capacità di costruirla nel tempo, forse nessuno -nemmeno il più morale tra gli uomini- potrebbe liberarsi del tutto dallo scetticismo. Invece, poiché «per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19b), io ho la speranza certa che la promessa avrà il suo compimento. Non però meccanicamente, in modo automatico, ma per la mia obbedienza a Lui, dentro le circostanze concrete in cui Egli si farà presente alla mia vita.

Dio ha bisogno degli uomini proclamava il titolo di un indimenticabile film di qualche decennio fa: non c'è grazia fruttuosa senza l'assenso della libertà.

Come all'inizio per entrare nella vita dell'uomo e salvarla, il Mistero che fa tutte le cose ha avuto bisogno del sì di una ragazza di Nazareth, così oggi per salvare l' amore dell'uomo e della donna continua ad aver bisogno del loro sì. Di quello pronunciato solennemente la prima volta davanti alla Chiesa e di quello rinnovato ogni volta, nella ferialità della vita quotidiana.

 

Domande per il dialogo

*   Ho coscienza di aver ricevuto un Sacramento, quando mi sono sposato, nel aule Cristo è entrato realmente nella nostra vita?

*  Ho ancora paura del “per sempre”?  Lo considero innaturale?   Lo considero fuori moda?

*   Come vedo l’Eucaristia e la Confessione in questo cammino di fedeltà “per sempre”?

     La venuta dei figli ha saldato questa unione o l’ha resa più problematica?

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 20-02-14