Archivio documenti ed attività per la
Catechesi per adulti e

per il Corso com-unitario di base

 

CATECHESI PER GLI ADULTI

 

05 ottobre   INTRODUZIONE AI VANGELI

 

1. La Bibbia, storia di un incontro

La Bibbia: è la storia dell'incontro di Dio con l'umanità. Un incontro iniziato nella notte dei tempi, con la creazione, continuato con un popolo da Lui scelto per essere conosciuto nella Sua unicità, e per preparare la Sua venuta come uomo nel mondo; completato con questa venuta, vissu­ta come dono per tutta l'umanità.

Per leggerla, bisogna entrare nel suo linguaggio, che è particolare perché racconta una storia durata duemila anni (dal 1900 a.C. al 100 d. C.), e perciò scritta con mentalità e cultura diverse. E' parti­colare perché racconta una storia di amore, perciò non una storia nel senso scolastico. Ed infine perché cerca di esprimere in parole umane una realtà che sorpassa la natura (è "sopra-naturale”)

2. Cosa vuol dire che è "ispirata dallo Spirito Santo"

Sia il popolo Ebraico che i cristiani hanno sempre creduto che la Bibbia fosse realmente "Parola di Dio", che cioè Dio ha "ispirato" gli scrittori perché trasmettessero il Suo messaggio con integrità e senza errori.

L'ispirazione non è dettatura, dunque non toglie la libertà dello scrittore, che mantiene la sua cultu­ra, il suo stile, il suo modo caratteristico di esprimersi.

Conseguenza di questa realtà è il bisogno di comprendere ogni libro biblico nel suo contesto cultu­rale e nello stile di ogni scrittore.

Facciamo degli esempi: i libri più antichi risentono di uno stile talvolta mitologico (i primi 11 capi­toli della Genesi sono 5 miti: la creazione del mondo, la creazione dell'uomo, il peccato originale, il diluvio universale e la torre di Babele). (vedi il punto 5.c.)

Un altro esempio nei Vangeli: sono 4, raccontano gli stessi avvenimenti, eppure sono diversi. Ciò perché gli interessi degli scrittori erano diversi: Matteo scriveva per gli Ebrei diventati cristiani. Marco scrive a Roma per chi viene dal  paganesimo. Luca scrive con il suo stile dolce, che sottoli­nea soprattutto la misericordia di Gesù. Giovanni scrive molto più tardi degli altri, li vuole comple­tare, vuole dare una lettura spirituale del messaggio di Gesù. Ecco allora differenze tra gli scrittori: ciascuno sceglie tra gli avvenimenti quelli che più servono per il suo scopo, e li esprime col proprio stile e con la propria intelligenza.

 

Il Nuovo Testamento

Consta di 27 libri:

Storici: 4 Vangeli + Atti degli Apostoli

Didattici: 13 Lettere di Paolo, Lettera agli Ebrei, 2 di Pietro, 3 di Giovanni, 1 di Giacomo, 1 di Giuda

Profetici: Apocalisse

Per vederlo nel contesto, diamo uno sguardo all'inquadramento storico:

Origine dei Vangeli Sinottici (= che si possono mettere in sinossi, cioè scritti paralleli)

Principi di ricerca:

- i Vangeli non sono stati scritti di getto, ma sono raccolte di fonti orali o scritte precedenti

- i Vangeli non sono cronaca, ma scritti per la fede della comunità cui sono rivolti.

Il Vangelo di Marco, il primo ad essere scritto, dipende dalla tradizione orale di Pietro, e da alcune altre fonti orali che Marco ha sentito nei suoi viaggi.

Matteo e Luca: - dipendono da Marco,

                  - hanno un'altra fonte comune,

                  - ciascuno ha delle sue proprie fonti, che creano le differenze tra i due racconti

Giovanni ha una fonte a sé, che è il ricordo dell'Apostolo stesso.  Questo Vangelo è stato scritto per completare quelli precedenti, tenendo presenti i problemi di una società filosoficamente diversa (circa 40 anni dopo gli altri) ed una comunità cristiana già più evoluta.

 

1. Il Vangelo secondo Marco

1.1. Autore e destinatari

La prima fonte che ci parla dell'autore di questo Vangelo è Papia, verso il 130. Riportando la testi­monianza di un anziano di nome Giovanni, dice: "Marco, fatto interprete di Pietro, scrisse tutto ciò di cui si rammentava con diligenza, anche se non con ordine, sia delle parole che dei fatti del Si­gnore". Tutte le testimonianze successive concordano su questi punti:

- Marco era discepolo di Pietro, ne ha ascoltato la predicazione è l'ha trascritta, forse anche tradu­cendola.

- Marco ha scritto quanto ricordava, dunque dopo la morte di Pietro (Sotto Nerone, tra il 64 e il 67)

- La comunità riteneva questo scritto "diligente", dunque degno di fede.  Per questo è considerato da sempre come ispirato.

Marco è la persona di cui si parla spesso nel Nuovo Testamento.  Non è Apostolo, ma, cugino di Barnaba, è stato collaboratore di Paolo.  In seguito a dissensi con lui, lo lascia (anche se in seguito lo incontrerà ancora, e collaborerà un po' con lui). Segue poi Pietro, di cui diventa collaboratore intimo (segretario e "interprete", come dice Papia)

Essendo scritto a Roma, questo Vangelo è anzitutto per questa comunità.  Risente della predicazio­ne di Pietro in questo ambiente, dunque è da leggere con un'attenzione a persone convertite dal pa­ganesimo.

1.2. Cronologia

Questo Vangelo sembra essere stato scritto poco dopo la morte di Pietro, perciò verso la fine degli anni 60. C'è uno studio attuale su un frammento di papiro di Qumran. Forse questo papiro è un frammento del Vangelo di Marco.  In questo caso, essendo le grotte di Qumran sigillate dall'anno 70, con l'invasione di Tito e la presa di Gerusalemme, il Vangelo dovrebbe essere abbastanza pre­cedente.

1.3. Caratteristiche

1.3.1. Marco ha molti fatti della vita di Gesù, e relativamente poche parole di Gesù. 

- Riporta solo due discorsi: quello in parabole (4,1-34) e quello escatologico (13,1-37)

- In tutto ha solo 4 parabole (più altre due brevissime, quasi solo delle allegorie)

- Riporta invece parecchi conflitti con gli ebrei (5 in Galilea e 5 in Giudea)

1.3.2. Ha un modo di raccontare conciso, anche se talvolta si dilunga invece in particolari margina­li; plastico e vivace, segno che riporta una predicazione orale e viva di un testimone oculare (Pietro).

1.3.3. La lingua è semplice, con molti semitismi, segno che la lingua materna di Marco era l'ebraico, e che molte delle predicazioni che ha sentito erano in quella lingua.  Ci sono poi dei lati­nismi, presi dalla comunità nella quale e per la quale scriveva.

 

2. Il Vangelo secondo Matteo

2.1. Autore, lingua primitiva e destinatari

Anche di questo testo la prima testimonianza esterna è di Papia, che dice: "Matteo raccolse in lin­gua ebraica (aramaica!) i detti di Gesù, e ciascuno poi li tradusse come sapeva".  Risultano perciò alcuni punti chiari:

- L'autore è considerato Matteo, l'Apostolo ex pubblicano, di cui si racconta la chiamata proprio in questo Vangelo.

- La lingua originale è l'aramaico. Lo si capisce anche da alcune caratteristiche del testo, che indi­cano una traduzione letterale di espressioni semitiche.

- Forse Matteo ha scritto alcuni brevi appunti su frasi di Gesù.  Qualcuno poi li ha tradotti, e redatti in un contesto più ampio, che è l'attuale Vangelo, che ha mantenuto il nome di Matteo.

Questo Vangelo è stato scritto per i cristiani provenienti dall'ebraismo (anche nella sua versione greca).

2.2. Cronologia

Lo scritto aramaico è probabilmente molto antico (anni 50).  La versione greca invece può esser datata intorno al 70.

2.3. Caratteristiche

2.3.1.  Non è una narrazione storica, ma uno scritto dottrinale. Ha sei discorsi compositi

- discorso della montagna (5-7)                - vocazione e missione dei discepoli (10)

- parabole (13)                               - istruzioni agli apostoli (18)

- polemiche con i giudei (23)             - discorso escatologico (24-25)

ed un insieme di buona parte dei miracoli che ricorda (8-9).  I fatti sono raccontati in modo più stringato che negli altri sinottici, perché Matteo vuole dare un insegnamento, e non raccontare la storia. Va dunque letto non come cronaca, ma ogni sezione staccata, come se fosse un libro didat­tico a sé.

2.3.2  La teologia che propone è: Gesù è il messia atteso dal popolo ebraico, ma la sua missione è stata destinata a prima vista all'insuccesso per colpa del suo popolo.  Invece tramite la sua morte, viene glorificato e si presenta come Dio.

Più degli altri evangelisti accenna alle discussioni con i Giudei, e riporta molte parole di Gesù che spiegano come si deve vivere il rapporto col Padre al di fuori della legge ebraica.

 

3. Il Vangelo secondo Luca

3.1. Autore e destinatari

La prima testimonianza sul Vangelo di Luca è di Ireneo, che dice: "Luca, compagno di Paolo, fissò nel suo libro il Vangelo da lui annunziato". Il Canone Muratoriano invece ci racconta che Luca era di Antiochia di Siria, medico, discepolo di Paolo, scrive per i cristiani della sua terra provenienti dal paganesimo, perché abbiano una visione reale della fede, senza cadere nelle superstizioni paga­ne né nelle credenze giudaiche.

Luca dedica il suo vangelo ad un certo Teofilo.  Non si sa se è un personaggi storico, o una finzione letteraria.

3.2. Cronologia

E' il terzo Vangelo ad essere stato scritto. Normalmente lo si data tra il 70 ed l’80.

3.3. Fonti

Lo stesso autore dice di aver fatto accurate ricerche su fonti varie (Lc. 1,1). Tra queste c'è certa­mente Marco, poi una fonte in comune con Matteo.  Luca ha però 548 versetti, su 1149, propri, cioè non in comune con gli altri sinottici. La fonte di questi versetti non è conosciuta, ed è da ve­dersi in quelle ricerche, che riguardano probabilmente molti appunti scritti che ha trovato, oltre alla stessa predicazione di Paolo che ha ascoltato.

3.4. Caratteristiche

A differenza degli altri evangelisti, vuole fare un'opera letteraria e storica (cerca per esempio di in­serirla storia di Gesù nella storia universale)

La lingua e lo stile sono migliori degli altri Vangeli, segno di una cultura personale più profonda.

Non ha semitismi, il Vangelo dunque è stato scritto direttamente in greco, da fonti prevalentemente greche.

Nonostante il desiderio di scrivere un'opera letteraria, Luca ha coscienza di scrivere un Vangelo, dunque di risvegliare e motivare la fede.  Presenta Gesù dolce, misericordioso, attento ai poveri ed ai peccatori.  Sottolinea il messaggio universale della Sua predicazione.

 

4. Unito al Vangelo ci sono gli Atti degli Apostoli

4.1. Autore e destinatari

Questo libro è il logico proseguimento del Vangelo di Luca. L'autore è lo stesso (uguale stile  e vo­cabolario).  Il titolo, non originale, è la riflessione già in Ireneo sul testo, che, dopo aver parlato di Gesù (Vangelo di Luca), parla ora della Chiesa primitiva, guidata dagli Apostoli. Anche se, a parte l'elenco iniziale, non si parla di tutti gli Apostoli, ma solo di Pietro nella prima parte (talvolta in­sieme a Giovanni ed i due Giacomo) e di Paolo nella seconda parte (talvolta insieme a personaggi che non fanno parte dei dodici, come Barnaba e Apollo)

4.2. Cronologia

La maggior parte degli antichi autori diceva che Luca li scrisse dopo la morte di Paolo, in Acaia (dove era andato a continuare l'opera missionaria del suo maestro).

Partendo dal fatto che gli Atti finiscono bruscamente durante il processo di Paolo, alcuni invece ritengono che siano stati scritti prima della sua morte.  L'opinione più probabile è la prima.

4.3. Attendibilità storica

Gli Atti degli Apostoli sono da considerarsi attendibili storicamente, quanto lo può essere un libro didattico dell'epoca.  Coincide quasi perfettamente con gli appunti storici che vi sono nelle lettere di Paolo.  Le critiche più forti riguardano il modo di presentare Paolo, quasi che lo volesse difende­re dall'accusa di essere anti - giudeo.  Paolo rimase ebreo e fariseo, ma certamente ebbe una forte evoluzione spirituale, comprendendo che la legge ebraica aveva fatto il suo tempo, e non era obbli­gatoria per i cristiani.

4.4  Teologia

La teologia degli Atti è molto legata allo Spirito Santo, che dalla Pentecoste guida la comunità, e particolarmente gli Apostoli nella loro opera missionaria.

E' chiaro il contenuto apologetico, di difesa della prima comunità di fronte agli attacchi dei Giudei, e di difesa di Paolo (di cui l'autore era discepolo), dagli attacchi di coloro che lo consideravano un traditore della dottrina mosaica.

 

5. Il Vangelo secondo Giovanni

5.1. Origine del pensiero Giovanneo

Lo sfondo del pensiero Giovanneo è costituito dall'Antico Testamento e dal giudaismo palestinese della fine del primo secolo, dunque con influssi esoterici, orientali, e soprattutto pre-gnostici. LA gnosi è una corrente filosofica che considera la possibilità di comprendere tutto con la ragione, ed anche di spiegare la divinità come un concetto astratto.  Giovanni non è certo gnostico: per Lui Gesù è una persona ben precisa, Dio ed uomo, salvatore e maestro.  Il linguaggio è però mutuato da questa filosofia che si sta formando (per esempio la parola Logos = verbo, parola).

5.2. Autore e destinatari

Ireneo (nel 180 circa) dice: "Dopo gli altri, Giovanni il discepolo del Signore, pubblicò a sua volta un Vangelo, mentre dimorava in Efeso, in Asia". La tradizione più comune parla di questo discepo­lo come l'apostolo, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo. Oggi si pensa di più ad un autore di nome Giovanni, ma discepolo degli Apostoli.

5.3. Cronologia

Questo Vangelo, secondo Ireneo, è stato scritto verso la fine del secolo (90-100).  Un papiro della prima metà del II secolo, dimostra che questo Vangelo era già diffuso in Egitto in quell'epoca.

5.4. Scopo

E' scritto per i cristiani, per dar loro una conoscenza ed una forza di fede più grande, e non ha scopo missionario (di convertire i lontani).

C'è una velata polemica antigiudaica (Gesù, non Mosè, ci dona la vera vita), ed antignostica (Dio è una persona, e non un concetto)

 

5.5. Caratteristiche

Questo Vangelo ha delle sue caratteristiche particolari, rispetto ai Sinottici:

5.5.1. Il materiale: a parte la passione morte e resurrezione, è quasi tutto autonomo. 

- I miracoli narrati da Giovanni sono 7, e d questi solo 2 sono in comune con i sinottici (moltiplicazione dei pani e cammino sulle acque).

- I discorsi che Giovanni riporta (moltissimi e lunghi) non sono presenti nei sinottici, e d'altra parte lui non ricorda quelli da loro scritti.

- Il luogo dove si svolge buona parte della missione di Gesù secondo i sinottici è la Galilea, mentre per Giovanni è Gerusalemme e dintorni.

- La cronologia del Vangelo di Giovanni parla di tre Pasque, mentre per i sinottici non c'è chiara cronologia, e non si capisce quanto sia durata la vita pubblica di Gesù.

5.5.2. Lo stile: - nei sinottici prevalgono delle brevi pericopi, mentre in Giovanni sono presenti dei lunghi discorsi o racconti.

- i discorsi non sono fatti d brevi sentenze, come nei sinottici, ma sono un corpo unico, con ragio­namenti filosofici e apologetici.

5.5.3. La teologia: ha dei concetti particolarmente sviluppati:

- la vita (eterna), che è già presente su questa terra con la presenza di Gesù tra noi ed in noi.

- destinazione universale della salvezza, non legata ad un solo popolo

- contrasto tra fede ed incredulità (e non tra osservanza rituale o meno, come nei sinottici)

- non è quasi presente la questione morale, e non ci sono indicazioni pratiche di vita (gli uomini non si dividono in buoni e cattivi, come nei sinottici, ma in credenti ed increduli)

- al centro di tutto c'è la persona di Gesù, e la rivelazione che fa di se stesso, come figlio di Dio, della stessa natura del Padre, dunque Dio Lui stesso.

- l'escatologia è vista al presente, come giudizio che si basa sulla propria fede.

 

19 ottobre   APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (1,1-15)

 

Vediamo il Vangelo di Marco, comprendendolo nella sua profondità.

Ci faremo guidare dalle proposte di P. Silvano Fausti, stampate nel libro: “Ricorda e racconta il Vangelo”, Ed. Ancora; e presenti anche sul Sito: “www.gesuiti-villapizzone.it”

 

Analizziamo la prima parte del capitolo 1 (versetti 1-15), seguendo questo schema:

§         (1,1) Principio della buona notizia di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

È un “principio” come l’inizio della Genesi, dunque è una nuova Creazione.  E la nuova creazione è operata da Gesù, che è il Messia (Cristo), e che è Figlio di Dio.  Marco mette subito in chiaro la triplice realtà di Gesù (umana, messianica, divina), e tutto il suo racconto servirà per presentarle al lettore. Opera questa creazione nuova attraverso un annuncio, che è “bello” perché è fonte di salvezza. (Vangelo significa appunto “bell’annuncio”. Solo in seguito acquisterà il significato di “libro che contiene la narrazione della storia di Gesù”). Questo annuncio è bello perché mi presenta Dio per quello che realmente è, mettendo in crisi la nostra idea naturale di Dio. Questo principio nuovo è una persona, non un’idea.

§         (1,2-8) “Ecco, io mando il mio angelo davanti al suo volto…”.

L’inizio della storia è la presentazione di Gesù da parte di Giovanni il Battista, mandato come “angelo” davanti a Lui, per preparare le cose belle, attese dall’uomo, secondo la giustizia di Dio che non è dare a ciascuno il suo, ma dare a tutti l’amore infinito come solo un Padre sa dare. La preparazione consiste in:

o        conversione e perdono dei peccati

o        segno di penitenza (Battesimo)

o        modello di vita di Giovanni, profondamente ascetico

o        sua spiegazione sulla persona che deve venire

§         (1,9-11) La prima immagine di Gesù è una sua presentazione:

o        si mischia con i peccatori per ricevere il Battesimo di Giovanni. Gesù non vuole essere “diverso”, ma esattamente come noi, per essere modello

o        si presenta come persona divina nella Trinità. È “diverso” nella Sua realtà profonda, essendo Dio, ma un Dio come solo Lui sa presentare, e non il “grande, potente, legislatore, giudice” che all’uomo piace vedere.

§         (1,12-13) La seconda immagine di Gesù è quella nel deserto

Gesù è portato dallo Spirito nel deserto, per riflettere e fare penitenza, in vista della Sua missione. Ci sono 4 scene: Gesù portato nel deserto dallo Spirito; Gesù è tentato da Satana; Gesù sta con le fiere; gli angeli lo servivano.  Gesù, come ogni uomo è posto in mezzo ai due spiriti, quello di Dio e quello del male: deve scegliere. Lo spirito di Dio lo “scaraventa” nel deserto; perché Dio non ha paura della tentazione, ma la vuole per permetterci di scegliere e di mostrare la nostra libertà. Vincendo le tentazioni, vive bene sulla terra, con le fiere, come profetizza Isaia (rappresentano le nostre prove, i nostri istinti…). Gli angeli, che servono Dio, servono anche l’uomo che vince le tentazioni.

§         (1,14-15) La prima parola di Gesù è il manifesto della Sua predicazione, in 4 punti:

Dopo la presentazione di Giovanni il Battista, entra ora in scena l’insegnamento di Gesù, che offre le coordinate del Vangelo:

o        è giunto il momento

o        il regno di Dio è qui

o        convertitevi

o        e credete al Vangelo

 

 

9 novembre   APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (1,16-45)

 

Queste riflessioni sono tratte dal libro di P. Silvano Fausti: “Ricorda e racconta il Vangelo”, Ed. Ancora; e presenti anche sul Sito: “www.gesuiti-villapizzone.it”

 

La seconda parte del 1 capitolo (versetti 16-45) la vediamo seguendo lo schema del racconto di una “giornata tipo” di Gesù:

§         (1,16-20) chiama i primi Apostoli:

è l’entrata di Gesù nella vita concreta dell’uomo (cammina: “è nella quotidianità”; vede: “è attento alla realtà”; uomini che lavorano “non cerca lo straordinario”; chiama a qualcosa di più grande: “aderire a Lui, non ad un’idea”). Conseguenza è diventare missionario dei valori che Lui ha portato, facendo parte della Sua comunità, la Chiesa, e fidandosi totalmente di Lui: “lasciano tutto” “subito”.

§         (1,21-28) caccia un Demonio:

La comunità è iniziata, seguendo la persona di Gesù. E Lui inizia a presentarsi con alcuni segni. Il primo è un esorcismo: notiamo però che il brano inizia a finisce parlando della Parola. Ciò significa che tutto il Vangelo è una logoterapia, e che la Parola espressa da Gesù è speciale, non è come le altre, crea relazioni: ciò scuote gli ascoltatori.  E insegna che il male è nella stessa società nella quale viviamo, ed è diverso dallo Spirito di Dio perché non è amore e gioia. Questo male nel Vangelo è chiamato Diavolo (divisore) (mente lo Spirito di Dio è chiamato “consolatore” perché è con me e non mi lascia solo). Gesù usa la Parola per vincere il male del mondo. Satana dice a Gesù “noi siamo alleati, perché rompi questa alleanza?” Gesù non vuole però l’alleanza col male, anzi, davanti a Lui, alla Sua verità, esplode la menzogna, si manifesta, libera il male per poterlo vincere. Notiamo che solo il Diavolo (a parte il cieco di Gerico) chiama Gesù per nome.

§         (1,29-31) guarisce la suocera di Pietro:

dopo l’esorcismo, il primo segno è insignificante, ma per Gesù è un segno importante, perché insegna che il vero miracolo è guarire il nostro cuore dall’egoismo allo spirito di servizio (dopo la “liberazione da” viene la “liberazione per”).  Avviene in casa, luogo delle relazioni e dell’amore. Ma la relazione in questa donna è bloccata dalla febbre. Ogni miracolo ha un significato simbolico: la febbre è l’egoismo. La stessa origine di questo miracolo è nella relazione, e non nell’egoismo: “parlano a Gesù di lei”. La donna non è guarita perché finisce la febbre, ma perché finisce l’egoismo, e sa servire.

§         (1,32-35) guarisce tutti e prega

dopo un solo miracolo, c’è un miracolo collettivo. Questo testo redazionale ci dà la chiave di lettura della giornata: intanto avviene alla sera, dovrebbe smettere la vita, invece questa serata è ricca di attività per Gesù (nel Vangelo di Marco ci sono 7 sere), ed avviene alla porta della città, il luogo dei “giudizi”; il giudizio di Gesù è l’accoglienza e l’attenzione ad ogni persona (preannuncia la sera della Croce). La giornata di Gesù continua ancora con la notte, nella quale ci insegna a vivere in contatto col Padre, strumento per vivere bene la nostra “giornata”.

§         (1,36-39) invita ad andare altrove:

Ai discepoli che lo cercano per riportarlo in città, insegna che non è venuto per costruire un Regno di “fans” che possano combattere per Lui, ma il Regno di Dio, che è l’invito alla conversione per ogni essere umano. Marco non narra le tentazioni, ma racconta quelle dei discepoli, che lo vogliono spingere a seguire l’intelligenza umana e non la volontà del Padre

§         (1,40-45) guarisce un lebbroso:

Il giorno dopo si conclude la scena, comprendendo lo scopo del Suo insegnamento: superare ogni emarginazione, e ad accogliere tutti nella Sua comunità che è la Chiesa.  Libera il lebbroso dalla sua malattia con delle trasgressioni alla legge (gli permette di avvicinarsi a Lui, lo tocca). Il “non dire nulla a nessuno” presente anche altre volte, ci fa capire ancora che Gesù non vuole essere capito male, come un Messia condottiero, e sa che il popolo non è ancora pronto al salto di qualità per capire la vera natura di Dio (lo sarà solo con la Croce e Resurrezione).

 

 

16 novembre   APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (2 e 3)

 

Queste proposte di riflessione sono tratte dal testo di P. Silvano Fausti, “Ricorda e racconta il Vangelo”, Ed. Ancora; e presenti anche sul Sito: “www.gesuiti-villapizzone.it”

 

Il capitolo 2 ci fa vedere le novità di Gesù (la Sua divinità ed il modo di presentarla)

§         (2,1-12) La guarigione del paralitico:

è il miracolo per eccellenza, perché Gesù lo spiega per insegnarci il senso di tutti i Suoi miracoli.

o        Avviene nella casa di Pietro, simbolo della Chiesa. Qualcuno cerca di non far entrare tutti, ma l’esempio di questi uomini che scoperchiano il tetto per entrare ci insegna che tutti devono avere accesso nella Chiesa, perché è lì che si riceve il dono del perdono

o        “ti perdono i peccati. Poiché hai difficoltà a crederlo perché non lo vedi, ti faccio vedere che so guarire il corpo, così crederai che quello che dico lo so fare realmente”

§         Presenta poi tre novità del Suo insegnamento in confronto con le usanze del popolo ebraico (e dell’umanità intera)

o        (2,13-17) Chiama Levi, ladro e traditore del popolo, a seguirlo come discepolo. Lo chiama mentre lavora (i pescatori facevano però un lavoro onesto, Levi invece uno disonesto), persona che non è interessata a Lui, non è andato ad ascoltarlo… Si ferma a casa sua, mangia con altri peccatori come lui; insegna così che è venuto per i peccatori, e non per i giusti, e lo fa con delle trasgressioni alla legge ebraica (mangia con, chiama Levi a seguirlo…)

o        (2,18-22) Nella Bibbia il digiuno ha solo due significati: purificazione dai propri peccati, oppure lutto. Gesù propone un nuovo senso del digiuno, che non è più un modo di osservare la legge (essere legati al passato) né di attendere il Messia (essere legati al futuro), ma è liberazione da se stessi nel momento in cui si renderanno conto che la loro risposta non è quella giusta, che non sono in sintonia con lo Sposo: il digiuno servirà allora per riformulare le proprie scelte di vita. 

o        (2,23-28) Propone un nuovo senso del sabato (e perciò della religiosità): non significa seguire delle leggi (in qualche caso si può anche andare contro la legge, come Gesù ha già dimostrato nella Sua vita), ma vivere la libertà dei figli di Dio (la legge è per l’uomo, e non l’uomo per la legge) nella gioia e nell’impegno personale non perché “devo” ma perché “capisco che è bene per me”

Il cap. 3 invece ci insegna come la missione di Gesù inizia con un fallimento (i nemici e gli stessi Suoi non lo accolgono). Ci fa anche capire come essere dei “Suoi”, cioè parte della Sua famiglia, della Sua comunità. 

§         (3,1-6) Inizia con la guarigione di un uomo con la mano rattrappita:

ed insegna che per essere con Lui bisogna essere pronti a donare, avere la mano aperta per ricevere da Lui e a sua volta donare ai fratelli (come Lui stesso ha fatto, andando oltre la legge del sabato, per mettere al centro non un principio ma la persona)

§         (3,7-12) Presenta poi la Sua comunità come una barca:

dalla quale Lui può parlare al mondo intero.  È un testo redazionale, ma non inutile, è un riassunto di quanto detto finora ed una apertura a quanto si sta per dire.  Gesù si ritira per non essere ucciso: deve cambiare strategia. Ma è seguito da “una moltitudine grande”, perché tutti vogliono avere la Sua salvezza (ascolto e guarigione). Va verso il mare, luogo del passaggio alla salvezza di Dio, e proprio dal mare evangelizza. E lo fa da una barca, segno della salvezza dalla morte. Questa barca, che riapparirà molte volte nei prossimi capitoli, è sempre il segno della missione di Gesù e della Sua comunità.

§         (3,13-19) Chiama i 12 Apostoli:

Sono 12, perciò rappresentano tutto il popolo. E sono quei 12, con i loro limiti, peccati, incapacità… li chiama per essere insieme (non come fa la società, che fonda delle comunità basate sulla violenza e sull’interesse: “solidarietà contro” qualcuno. Gesù propone invece la “solidarietà per”). ed offre una missione particolare all’interno del gruppo dei discepoli, infatti li invita a “essere con Lui”, e solo dopo a “predicare” (cioè raccontare la propria esperienza)  e “cacciare i demoni” (capacità di vincere il male).

§         (3,20-35) Presenta dei Suoi parenti che non lo capiscono

C’è un modo particolare per essere contro Gesù: pensando di amarlo, ma non comprendendolo e volendogli imporgli la nostra strada e non seguire la Sua. I Suoi parenti sono “fuori” dal luogo in cui Lui è (all’inizio e alla fine del brano. Questa è un’inclusione, con la soluzione al centro). La risposta che è al centro è: mente i demoni riconoscono Gesù, gli Scribi, i Farisei e i “Suoi” Lo considerano un demonio, e tutto questo perché c’è sempre la paura del dono di Dio (è la prima tentazione dell’Eden), perché propone cose speciali, per questo è pericoloso, da eliminare; nonostante questo Gesù combatte e vince il male, e ci assicura che se siamo con Lui lo possiamo vincere anche noi. Il vero male è non credere che Gesù sa intervenire nella mia storia. Gesù comunque si serve di questo problema per presentare una nuova parentela, quella che si basa sulle scelte di vita.

 

14 dicembre

APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (cap. 4)

 

Queste proposte di riflessione sono tratte dal testo di P. Silvano Fausti, “Ricorda e racconta il Vangelo”, Ed. Ancora; e presenti anche sul Sito: “www.gesuiti-villapizzone.it”

 

Il capitolo 4° è il capitolo delle parabole (da “parà-ballo” = gettare fuori, perché il linguaggio simbolico mi “getta fuori da me stesso” e mi fa capire meglio la realtà. Ha cioè un significato esplicito ed uno recondito, che è però quello più importante).

§      (4,1-20) Dopo l’esito fallimentare della Sua prima evangelizzazione, Gesù ci dona la lettura della realtà, nella fiducia e nell'ottimismo

La prima parabola è quella più importante, che serve da spiegazione di tutte le altre. Parla della gioia di veder crescere il seme, perché comunque si può portare frutto e questo frutto è sovrabbondante. Non è dunque una parabola “morale”, anche se la Chiesa di Marco l’ha letta anche così, dando poi questa spiegazione (versetti 15-20)

Inizia e finisce con la parola “ascoltare”, centro del nostro essere discepoli. Non è un imperativo, ma un invito a continuare ad essere in atteggiamento di disponibilità.

L’introduzione è uno scenario solenne: è un nuovo inizio, perché nonostante tutto Gesù porta il Suo messaggio, e lo fa “sedendo sul mare” cioè superando l’abisso, la morte.

La semina è un atto di fiducia: rinuncio al seme oggi, per averne di più domani. In questo clima di fiducia, Gesù ci parla delle situazioni dell’evangelizzazione:

§         la prima paura è che il seme non attecchisca e gli uccelli lo mangino

§         la seconda è che attecchisca con entusiasmo, ma senza terra bella, e secca subito

§         la terza è che dopo l’entusiasmo il seme nasca, ma nascono anche altre realtà, che lo soffocano

§         la quarta è la realtà positiva, messa al plurale (mentre le tre precedenti sono al singolare: un seme si perde, tanti si salvano).  Si parla qui di terra bella (in ebraico Adam): l’uomo è la terra bella che Dio ha creato, dove la fiducia di Dio è all’estremo (il 100 per 1, invece dell’8-10 previsto dal contadino ebreo)

La parabola è perciò contro la sfiducia all’inizio di un cammino. La vita sensata è dominata dalla fiducia, non dalla paura.  La vita è seme, vale se si dona, se no muore inutilmente.

§         spiega poi perché parla in parabole: perché i concetti più difficili si possono spiegare solo per simboli, non per ragionamento.  Gesù parla in parabole perché vuole farci capire il senso profondo delle cose (il cui significato non è nella cosa stessa, ma nella parola interiore che la spiega).  Il verbo è all’imperfetto (Gesù diceva) perché Gesù ha iniziato a parlare, ma non ha ancora finito (continua anche ora). La parabola è rispettosa, perché insegna tutto, ma senza imporre, perciò chi non vuole capire, chi non si relazione e non interroga, può non capire e restare tranquillo.  

§         termina con una riflessione della Chiesa primitiva su questa proposta di Gesù.

È la riflessione della chiesa, che applica a sé quello che è successo a Gesù.  Diventa perciò una moralizzazione della parabola, che riguardava di per sé la comprensione della vita di Gesù.

§         (4,21-34) La luce, che indica la qualità della vita

Nelle difficoltà che ha nella Sua missione, Gesù invita alla fiducia anche tramite tutte queste altre parabole. Gesù invita a guardare ciò che si ascolta (sono cose profonde da contemplare).

§          (4,35-41) Il capitolo termina con una riflessione sulla fede:

Se questa è cresciuta come il seme, la dobbiamo saper dimostrare anche nelle circostanze difficili della vita (tempesta sedata).  Anche la vita è una parabola: bisogna saperla leggere nella sua simbologia.   “Lo prendono così com’è”. Noi cerchiamo spesso un Gesù “a modo nostro”, come non è! E Gesù dorme. Questo è il Gesù reale, uno che ci lascia la nostra responsabilità. L’uomo ha paura della morte: Gesù invece è sereno, perché sa di essere più forte della morte. Gesù “minaccia” il vento, come minaccia i Demoni. Gesù va alla radice del male. Chi è Costui? La domanda fondamentale del Vangelo, la cui risposta è quella che ci fa discepoli. Anche davanti a Gesù hanno timore, ma non più il timore della morte, ora è quello dell’infinito.

 

 

11 gennaio : APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (cap. 5 e 6,1-6)

 

Il Capitolo 5° è il capitolo dei miracoli che insegnano la fede:

* (5,1-20) indemoniato di Gerasa:

La Parola fa uscire le tempeste che ci sono dentro. Ed ecco allora che subito dopo la tempesta sedata viene un esorcismo particolare. È un brano che ci fa da specchio: ci fa capire il male che è in noi.  Quell’uomo ha come domicilio l’unico domicilio sicuro: il sepolcro. È già dove tutti andremo.  Si fa del male, come tutti noi in tante occasioni. Anche in noi c’è un male che non riusciamo a legare, se Gesù non è in noi. Il demonio quando vede Gesù accorre e lo prega di essere lasciato in pace, invitandolo ad una alleanza (che a me ed a te? È il giuramento di alleanza tra due re): governiamo insieme il mondo! Il demonio riconosce Gesù, non per predisposizione religiosa, ma per conoscenza oggettiva. Gesù invece lo invita ad uscire (li invita, perché sono molti, come in ogni persona la cui personalità è scissa). Permette loro di andare nei porci (impuri), che muoiono nel mare (luogo di morte). Quando i paesano arrivano, vedono l’indemoniato vestito e sano (l’uomo ricostruito), ma i porci affogati. A loro interessa l’uomo o i porci? Anche a noi fa paura la verità, non vogliamo che Gesù ci scopra.

L’ex indemoniato lo prega per rimanere con Lui, e Gesù non lo esaudisce (è l’unico di questo brano che non è esaudito e ci fa capire che quando noi ci lamentiamo che Gesù non ci ascolta, non abbiamo capito come si comporta Lui). Così sembra, ma Gesù lo esaudisce, perché seguire Gesù significa essere suo testimone, e lui lo diventa più di tanti altri.

*  (5,21-43) figlia di Giairo ed emorroissa: 

I capi sono contro Gesù, ma quando c’è bisogno, ci si accosta. Nel bisogno, si desidera qualcuno che dia la vita, una vita sicura. Tutti schiacciano Gesù quasi per possederlo (voglia di toccare, per curiosità), Lui volontariamente segue Giairo (non è curiosità, ma bisogno di vita).

Si avvicina una donna emarginata dalla sua malattia (da 12 anni). Aveva cercato tutti i rimedi per non morire, ma aveva fallito (solo Gesù può guarire dalla morte). Ora trova Gesù, ed è disposta a tutto (renderlo impuro), pur di raggiungere il suo fine. La guarigione arriva “subito”, perché Gesù può realmente. Anche se tanti Lo toccano, solo una Lo ha toccato realmente. Quando Gesù la cerca, lei ha paura, perché sa che Gli ha fatto del male. Però non può fare a meno di dire tutta la verità. Anzitutto Gesù la chiama “figlia”, le fa capire che non è arrabbiato con lei, anzi, che la ama. Poi le parla di salvezza, non solo di guarigione.

Dicono a Giairo che la figlia è morta, dunque non c’è più nulla da fare: anche la fede ha qui il suo limite. Per Gesù anche la morte è solo sonno, perché Lui può risvegliare. La figlia di Giairo è pronta per l’incontro con lo sposo (ha 12 anni, l’età del matrimonio): la sua malattia era mancanza di amore, Gesù glielo dà in modo definitivo.

 

I capitoli 6 e 7 trattano della fede e del modo di viverla. Vediamo oggi solo 6,1-6a

I Nazaretani sono scandalizzati dal fatto che queste cose straordinarie siano proprio in quell’uomo che conosciamo bene. Gesù è conosciuto come “falegname”, artigiano, lavoratore umile. Il potere di Dio è la povertà che non prende nulla a nessuno. Gesù è conosciuto come membro di una famiglia ben precisa. Queste mani di falegname come possono fare questi prodigi? Questo figlio di una semplice famiglia di questo paese, come fa ad avere tutta quella sapienza? Lui è Dio perché accetta la Sua carne, la Sua debolezza, che noi normalmente non accettiamo. Il profeta non è accettato nella sua casa, perché lì è conosciuto, ma non conosciuto realmente, bensì con pregiudizi: chi ti consoce così, ti ha già ucciso.

Gesù si meraviglia solo della fede (per esempio della donna Cananea) o della non fede dei Suoi.

 

 

25 gennaio:  APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (6,6b-56 e 7)

 

Il capitolo 6 continua poi con questi brani:

*   Chiama innanzi i Dodici e cominciò a inviarli (6,6b-13)

Tutti noi abbiamo la vocazione di essere figli, dunque inviati ai fratelli. Gesù “insegna”. Marco non dice cosa insegna, perché l’insegnamento è la Sua stessa persona che va in cerca di tutti, che gira per i villaggi e città… Gesù “comincia” ad inviarli: è un nuovo inizio, dopo la crisi della non accettazione da parte dei Suoi. Li manda a due a due, perché 2 è l’inizio della molteplicità, della comunità. Il primo potere è contro lo spirito di morte, e se si va in coppia, se ci si ama, si supera la morte. Essendo in due, non c’è bisogno di predicare grandi cose, si dimostra il proprio amore. Gesù “comanda”, cosa rara nel Vangelo, la povertà, perché se si ha qualche cosa ci si divide dai fratelli. L’unica cosa che permette è il bastone (segno del potere, il potere sul male, il potere di vivere di nulla, perché il male si vince col niente, come Davide contro Golia, come Gedeone…) e i sandali, segno della missione.  La missione è “entrare” nella vita dei fratelli. Se non si è accolti, si testimonia semplicemente che si esce: non è condanna ma annuncio (scuotere la polvere è il gesto dell’ebreo che entra nella Terra Promessa dal territorio pagano, in questo caso è dire che tu non sei pronto ad entrare dal Padre). Gli apostoli proclamano la conversione, senza spiegare grandi cose; è la loro povertà che spinge alla conversione.

*   Levarono la sua spoglia e la deposero in un sepolcro (6,14-29)

Erode si interroga sulla natura di Gesù, ma non ha il coraggio di interrogarlo personalmente, né di lasciarsi interrogare da Lui. Anche con Giovanni si comportava così, lo ascoltava per curiosità ma non per mettersi in gioco. Infatti ascolta più la voce della ragazza che di Giovanni. La conclusione è di speranza: Giovanni è sepolto come il chicco che porta frutto.   Messo vicino alla moltiplicazione dei pani, questo brano ci fa capire che ci sono due relazioni: mangiare l’altro (cosa che Erode fa con Giovanni), o mangiare con l’altro (il pane donato)

*  Venite voi soli in disparte (6,30-33)

I discepoli tornano e raccontano. Si è con Gesù, dunque si va dai fratelli, ma poi si torna da Gesù, per confrontarsi e per ricaricarsi. Infatti li porta con sé, in un luogo in disparte. È il principio del “ritiro spirituale”.

*   Alzati gli occhi al cielo, benedisse e spezzò i pani, e li dava (6,34-44)

Tutto il Vangelo è il commento all’ultima cena, al dono di Sé.  Gesù vede le persone, perché ha il cuore aperto a tutti, ed infatti il sentimento che ha è “com-passione”, sentimento materno che mette l’altro al centro. Gli apostoli conoscono solo il cibo che si compra; Gesù invece presenta un cibo che si dona, frutto della com-passione. È quello che più ne dai, più ce n’è. Se il seme porta il 100 per uno, Gesù sa addirittura donare il 1000 per uno. Il pasto dell’Esodo si mangia in piedi, di corsa, quello di Gesù (del Regno) si mangia sdraiati (posizione del pasto solenne). Poi prende il pane, ma lo prende per donarlo, non per possederlo. Ne avanzano 12 ceste, cioè la pienezza (i mesi, gli Apostoli…): avanza quanto basta per l’umanità nel futuro.

*   Coraggio, lo Sono, non temete! (6,45-56)

È Gesù che costringe i discepoli ad andare via (non vuole mai restare dopo i miracoli, per evitare esaltazioni delle persone). La presenza di Dio è la Sua assenza, perché non si impone (come nel pane, nell’Eucaristia). È notte, c’è tempesta e vento contrario… Gesù cammina sul mare, cioè sulla morte: Gesù ha potere sulla morte. (Anche Pietro vuole questo potere, ma non è ancora pronto, perché questo potere è nell’amore). Sono presi dal loro egoismo, tanto che confondono la realtà con un fantasma. Invita al coraggio, a superare la paura. Quando Gesù è con loro, tutto si aggiusta; ma la loro incomprensione rimane, perché non hanno capito il “fatto dei pani”, cioè il senso della vita nel dono (hanno il concetto del potere, ma non del dono). La conclusione è il racconto delle persone che Lo riconoscono, e capiscono che solo toccandolo c’è la salvezza.  La vera presenza di Dio è l’amore.

 

Nel capitolo 7 si continua a parlare della fede, trattando di:

*    Il loro cuore è lontano da me (7,1-23)

Gesù critica tutta la religiosità del legalismo e della tradizione, con degli esempi pratici. Toglie poi la malizia dalle cose, affermando che è solo nel nostro cuore. La legge e le tradizioni sono buone (la legge difende una vita serena, sapendo cosa fare, ma non ci dà il giusto del cammino; è un bene se  mi aiuta, è un male se diventa schermo. La tradizione aiuta perché è  “memoria”, senza dover inventare ogni volta tutte le cose. Se diventa una schiavitù non è più un bene).  Chi conosce bene la legge (scribi), e chi la segue bene (farisei), critica Gesù. Il cristiano non segue la norma, ma agisce per amore. Se uno è ipocrita propone i comandi, per evitare l’incontro con l’amore di Dio. Chi non si sente sicuro, cerca la legge come protezione; chi è maturo, vive per amore. Il male esiste, ma nel nostro cuore. L’elenco dei peccati aiuta a comprendere questo male concretamente. Noi tendiamo a vedere il male negli altri: Gesù ci aiuta a vederlo in noi stessi. Anche questo fa parte del “capire il fatto dei pani”.

*    Non è bello prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini (7,24-30)

Si è alla svolta del Vangelo: ora tocca a noi riconoscere Gesù (capire il “fatto dei pani”). Qualcuno riconosce i pani: è ancora un’altra donna, dopo l’emorroissa. Gesù lascia il mondo ebraico, dove c’è la tradizione ipocrita, che si considera buona; e va verso il mondo pagano, dove ci sono persone pronte a riconoscerlo, anche se non riconosciute come buone. Questa donna si avvicina a Gesù perché ha sentito di Lui, non della Sua dottrina. Ha “fiducia”, non “fede” come intendiamo noi. E’ pagana, di un popolo nemico: non ha titoli per avvicinarsi, ma ha l’amore, e per Gesù questo è il vero titolo. Gesù tenta di spiegare ai Suoi che sono figli, che hanno il pane che ancora non riconoscono. Mette poi alla prova la sua fede. E lei la dimostra al massimo grado, anche chiamandolo “Signore” (non molti Lo riconoscono così), riprende le parole di Gesù, le accetta, chiede il dono delle briciole. È la prima che riconosce di essere figlia. Se uno accampa diritti non crea un rapporto di fiducia, ma di commercio. Chi si crea un’immagine di Dio a propria immagine, non riconosce il vero Dio nelle Sue novità. Si meraviglia di questa fede, come si meraviglia della non fede dei Suoi. Il miracolo lo fa lei stessa, nel suo desiderio di vita, che è accolto.

*   Effathà, cioè: Apriti! (7,31-37)

La Parola è al centro, e se uno non sente non può sciogliere la menzogna che è in lui. Punto di partenza è il luogo pagano e la condizione di sordità. È Gesù che prende l’iniziativa di andare incontro alla persona bisognosa. C’è bisogno di una mediazione dell’altro per incontrare Gesù. In questa persona sono sintetizzate le difficoltà della comunicazione (Babele). L’uomo è immagine della parola che ascolta. La parte del corpo debole, è toccata da Gesù: le parti della nostra vita nelle quali siamo deboli, sono il luogo dove possiamo sperimentare il rapporto con Gesù. Dito, saliva, sono segni dello Spirito di Gesù che viene trasmesso. La parola “apriti” è Parola di vita. Gesù ricostruisce la comunicazione.

 

 

08 febbraio: APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (8 e 9)

 

Nel cap. 8 continua la sezione dei pani, arrivando alle domande principali della fede.

o        Ho compassione di questa folla (8,1-10)

Le cose più belle si ripetono (una bella musica la riascolto fino a saperla a memoria). È contro il mordi e fuggi. Si ripete non solo il racconto del pane, ma anche l’incomprensione dei discepoli. È l’unico segno riportato da tutti 4 gli Evangelisti. La condivisione ripetuta ci fa capire che è lo stile di vita di Gesù. C’è la novità della compassione di Gesù, che significa interessamento della vita della persona. Non è importante quanti pani hanno, ma che li mettano a disposizione. Gesù li benedice, cioè guarda con fiducia la realtà, vi vede il bene presente. 4000 significa tutti (i 4 punti cardinali), perché questo cibo non è riservato a qualcuno. Rimanda a casa, dopo aver insegnato come si vive: costruendo una relazione e condividendo.

o        Non sarà dato nessun segno (8,11-13)

Ogni cosa ha tanti significati, l’importante è capirlo (un regalo è bello perché regalato, solo in un secondo tempo è bello per se stesso). Il miracolo è un segno di attenzione alla persona; l’uomo guarda il fatto in sé. Invita a non cercare la potenza di Dio, ma la Sua misericordia. Dopo il segno del pane, l’altro segno importante sarà la Resurrezione.

o        Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode (8,14-21)

Sul mare questa volta non c’è tempesta, ma è Gesù che la suscita con le Sue domande. Tutto gira intorno al pane, al senso della vita. Hanno un solo pane, è però inefficace perché non hanno il lievito di Cristo, ma dei farisei (volontà di potere e non di dono e condivisione). Nella chiesa noi non abbiamo l’efficacia di Cristo (che c’è) se abbiamo una religiosità farisaica (che vuole dominare Dio con i meriti) o erodiana (potere sugli altri). Le domande di Gesù: discutere sul pane significa avere il cuore di pietra che non vede l’amore, ma solo il potere. Invita a ricordare, per capire (la domanda fondamentale è l’ultima: non credete ancora?).

o        Vedi forse qualcosa? (8,22-26)

Penultimo miracolo di Gesù, anche l’ultimo sarà un cieco. Ogni miracolo è segno di qualcosa che va oltre: suocera di Pietro = servizio; lebbroso = rapporti umani ricostruiti; paralitico = posso camminare verso casa; mano chiusa = dono; tempesta sedata = con Lui la vita non fa paura; emorroissa e figlia di Giaro = la vera vita è nella comunione e nell’amore nuziale; il dono del pane = condivisione; sordo = ascolto della parola. Poiché i discepoli non credono ancora, ecco il miracolo del cieco che è chiamato a vedere la realtà. Tutti noi infatti siamo ciechi, perché non vediamo la realtà, ma la nostra idea della realtà.  Un cammino di riacquisto della vita a tappe, come lo è tutta la nostra vita. Gesù prende per mano il cieco, indicando che il tutto avviene all’interno della relazione con Lui. Alla fine vedrà tutta la realtà nel modo giusto, ed allora Gesù lo rimanda a casa, cioè gli fa capire che è nella sua quotidianità che deve vedere l’altro e la presenza di Dio nella sua vita.

o        Ma voi, chi dite che io sia? (8,27-30)

Lasciamo le nostre sicurezze (i posti “sacri”) per incontrare realmente Gesù: il Suo riconoscimento avviene a Cesarea di Filippo, luogo pagano e lontano. Parecchie volte è stato chiesto: Chi è costui?  Ora è Lui che interroga. La domanda si prende cura delle persone, vuole partire dalla loro conoscenza concreta. Non vuole però la risposta generica, non personalizzata, basata sul “si dice”. Entro nel dialogo con Gesù se rispondo a questa domanda. La risposta di Pietro è entusiasta, è un sogno per un ebreo (in te vedo realizzate le mie aspirazioni). Non è perfetta perché non è un riconoscimento personale, ma un vedere secondo i propri pregiudizi. L’importante però è rimanere in cammino, essere per strada con Lui per capire sempre meglio. Ed è importante cominciare a rispondere, inizia la relazione con Lui, si comincia ad aprire il cuore alla comprensione.

o        Il Figlio dell'uomo deve molto soffrire (8,31-33)

Gesù finalmente comincia a raccontare chi è Lui (seconda parte del Vangelo: non fa segni, non dice parabole, ma spiega). Preannuncia di essere perseguitato, ma specifica da chi: da persone “religiose”, il punto in discussione perciò è l’immagine di Dio. Gesù infatti annuncia con franchezza “la Parola”, che è la Croce. Pietro dice a Gesù quello che pensa, cioè la Sua immagine di Dio (Gli dice che non Lo riconosce più, non è quello che ha seguito dall’inizio). Gesù gli risponde con lo stesso coraggio e sincerità: risponde a tutti i discepoli, perché tutti hanno lo stesso problema. Non caccia Pietro, ma gli chiede di seguirlo, come glielo aveva chiesto all’inizio. Se Pietro farà il discepolo, capirà meglio Gesù. Se non fa il discepolo, diventa tentatore. Invitandolo a seguirlo, Gesù invita Pietro a riprendere il cammino, è una nuova vocazione.

o        Se uno vuole (8,34-38)

Dopo aver chiesto “chi sono io per voi” ora spiega chi siamo noi.  La folla è indistinta: Gesù parla a tutti, senza eccezioni, invitando ad uscire dalla folla per diventare persona, popolo. La prima Parola di Gesù è di libertà: aiuta l’uomo a crescere. L’invito alla libertà è offrire una strada difficile, ma certa per trovare la sequela, cioè la felicità (perfetta letizia). Prendere la propria croce significa realizzare la propria vita. Seguire Gesù significa essere accompagnati, non aver paura. La nostra strategia è “salvare la nostra vita”. Gesù ci offre la ricetta per questo. Noi pensiamo che serva guadagnare, possedere, per salvare la vita. Gesù ci mette in guardia da questa strategia di morte. La vita non ha prezzo, è donata. La meta allora è la gloria (in ebraico “peso”) cioè la presenza di Dio in noi.

 

Nel cap. 9 si approfondisce la vera presentazione di Gesù

o        Questi è il Figlio mio, il diletto: ascoltate lui! (9,1-10)

Dopo aver insegnato la nostra identità, ora ascoltiamo il Padre stesso che spiega chi è Gesù. La Trasfigurazione ci fa vedere chi siamo. Siamo chiamati già in questa vita a fare esperienza di Gesù. Il sesto giorno è il giorno della creazione dell’uomo e dunque ci insegna la nostra vita; ed è il giorno della croce, e ci insegna l’amore di Dio per l’uomo. Chiama alcuni, per indicare che tutti sono chiamati (sono i tre che fanno più fatica a capire). Il monte è il luogo della Legge, e qui si dà la nuova legge, che è l’amore. Gesù li tira fuori dalla massa, chiamandoli ad essere in intimità con Lui. La Trasfigurazione non è Dio che cambia forma, ma Dio che spiega all’uomo la sua identità. Questa nuova identità è raccontata con termini simbolici, ma non ci sono termini reali per spiegarla. La presenza di Mosè ed Elia indica la pienezza della Parola di Dio. Pietro dice che è una cosa bella essere con Gesù. Le tende indicano la presenza, ma non hanno senso perché non c’è più legge, né profezia, né presenza fisica di Gesù: la tenda ora siamo noi. vorremmo vedere il volto di Dio, ma è coperto dalla nube: Dio ha voce, ma non volto, perché il Suo volto siamo noi. Il Padre parla poco, ma dice tutto quello che c’è da dire: chi è Gesù e dove è la nostra salvezza.

o        Questa specie con nulla può uscire se non con la preghiera (9,11-29)

Dopo aver capito chi è Gesù, vediamo che noi siamo ancora qui nella fatica quotidiana cercando di vincere il male, cosa che riusciamo a fare solo con Lui. È la seconda volta che Gesù è assente: nella prima non era sulla barca, ed andavano a fondo; qui, non sanno vincere il male. Il vero male è mancare di comunicazione. Gesù si lamenta, perché vuole farci capire che dobbiamo diventare capaci di vincere il male, senza il Suo intervento diretto. L’uomo non fa il male, ma è una marionetta nelle mani del male (Demonio). Quell’uomo non ha vera fede, ma ci insegna che davanti al male non ci si deve arrendere. Accoglie perciò l’aiuto di Gesù, anche per poter credere meglio. Gesù vince il male con la Parola, perché il male è menzogna. Quando è in casa (nella Chiesa), spiega agli Apostoli il senso della loro missione: hanno bisogno di preghiera e digiuno, cioè di affidarsi a Lui (assente fisicamente, ma presente con la Sua forza).

o        Di che cosa discutevate lungo la via? (9,30-37)

Tutto il Vangelo d’ora in poi è il cammino a Gerusalemme, scandito da tre profezie della Passione. La parola base è “consegnare – consegnarsi” ripetuta tante volte. I discepoli continuano a non capire: la prima volta Pietro gli ha detto “Dio non voglia”, ora hanno paura di interrogarlo, anzi, parlano d’altro. Nella casa di Cafarnao la suocera con la febbre guarisce e serve; ora una febbre peggiore l’hanno i discepoli: l’orgoglio, il senso del potere… e per Gesù è più difficile guarirli. Gesù li chiama a sé, è un’ulteriore vocazione, per ascoltare questo insegnamento fondamentale. Gesù si consegna anche a chi non lo capisce, perché il Suo amore è più paziente della loro incomprensione. Gesù accoglie solo la grandezza che non è a spese di altri. Il bambino si sente amato ed accolto: se noi ci sentiamo così, sappiamo anche rapportarci bene con gli altri.

o        Non impeditelo (9,38-40)

Non è il noi al centro del mondo. Nel testo originale c’è infatti due volte “seguire noi”. nella chiesa c’era questo problema, e Marco lo affronta mettendo in bocca a Giovanni (il carismatico) questa affermazione: anche se è in nome di Gesù, se non è con noi, glielo impediamo. L’errore è vedere una chiesa “a modo nostro”, non “di coloro che seguono Gesù”. In un mondo globalizzato c’è sempre di più il “noi”: i cristiani invece hanno al centro Cristo. Anche fra cristiani non possiamo appiattirci l’uno sull’altro, perché non c’è uno stampino. Gesù non è solo tollerante, ma è interessato alla persona. La soluzione è la frase sapienziale “chi non è contro di noi è per noi” che non si oppone all’altra detta altrove (“chi non è con me è contro di me”), ma è un altro significato (al centro “Cristo”, la frase ha senso; al centro “noi” perde significato)

o        Nel nome (9,41-50)

Ci si trova ancora nella casa di Pietro dove si guarisce dalla mancanza di fede, sapendo mettere al centro Cristo ed il Suo nome. Alla base c’è l’amore che si manifesta nel servizio nelle cose piccole quotidiane. Ogni cosa, anche minima, acquista significato se è fatta nel nome di Gesù. Lo scandalo è indurre altri a peccare, per questo è un peccato condannato gravemente da Gesù. Oltre al mio scandalo per gli altri, ci possono essere cose che fanno cadere me, ma il problema non è nelle cose, ma nel mio uso errato delle cose (la mano che può possedere invece di donare; il piede rappresenta la speranza di raggiungere ciò che mi serve; l’occhio è il desiderio, il cuore che mi spinge) (l’ape in una discarica si posa sull’unico fiore, la mosca in un campo di fiori si posa su…). Per questo è importante a mantenere la sapienza (il sale). La vita insulsa dell’inizio del brano (i discepoli che si chiedono chi è il più grande) acquista sapore in questa catechesi.

 
 
22 febbraio:   APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (10 e 11)

 

§         Cap. 10

o        Non sono più due, ma una carne sola (10,1-12)

Dio crea l’uomo diversificato, perché solo nelle differenze si è complementari. Eva nasce dal fianco di Adamo: anche l’uomo deve generare, non fisicamente, ma spiritualmente, come la Chiesa nascerà dal costato di Cristo. Gesù parla di Matrimonio, gli altri parlano di divorzio. La domanda è una tentazione (non cercano la risposta, ma di metterlo in difficoltà). Gesù fa capire che Dio ha dato un ordine, Mosè invece un permesso. Alla base c’è la durezza del cuore. Agli Apostoli dà la propria novità su Mosè: c’è ancora matrimonio, tanto che il suo tradimento è adulterio.

o        Di chi è come loro è il regno di Dio (10,13-16)

Gli Apostoli cercano di tenere lontano le persone da Gesù (quelle che non contano, i bambini). C’è un aspetto di gelosia, e nello stesso tempo la non accettazione di un atteggiamento affettivo, quasi per incapacità personale di amare. Gesù si sdegna, perché il Suo atteggiamento è sempre di accoglienza, e vuole che i Suoi discepoli la permettano e non la impediscano. Il bambino non conta, ma è modello di vita, perché sa accogliere con fiducia ed abbandono. Non vuol dire non crescere, ma crescere mantenendo questa fiducia. L’abbraccio di Gesù ai bambini ci insegna che chi vede Gesù non può non vedere le persone che non contano.

o        Tutto è possibile presso Dio (10,17-31)

Insegnamento sulla libertà dai beni terreni. Questo brano va letto senza sminuirlo, ma così come Gesù ce lo propone. La domanda fondamentale è “ereditare la vita eterna”. Gesù parte dall’affermazione, “Maestro buono” e gli chiede praticamente: ma sai chi sono io? Gli ricorda poi i comandamenti, come strada per ereditare la vita eterna. Queste due domande che Gesù fa al ricco servono per fargli prendere consapevolezza di se stesso. La legge però non è sufficiente: se non faccio nulla, ho osservato i comandamenti, perché non ho fatto li male. Ma a Gesù non basta. Gesù guarda con amore quest’uomo perché vede in Lui il desiderio di fare qualcosa di più, e che cerca comunque la relazione con Lui. La tristezza è nel non fidarsi, vuole seguire il suo progetto, ma non quello di Gesù. Chiamando “figlioli” gli apostoli, ma capire che questa spiegazione si capisce solo in una relazione con Lui: non è una legge da seguire, ma una persona da incontrare. Il “tutto è possibile a Dio”, si dimostra nella scelta fatta dagli Apostoli: chi lascia tutto trova il tutto. Pietro capisce che l’importante è seguire Gesù, ma ha ancora paura di perdere tutto, ed allora si aggrappa a quello che ha. Gesù invita a guardare oltre, a quello che si può conquistare, che vale di più, anche se in altra dimensione. I primi e gli ultimi sono coloro che hanno tutto, o che hanno il tutto.

o        Cosa volete che io faccia per voi? (10,32-45)

Gesù spiega quello che sta per succedere, a Lui come a tutti i Suoi discepoli. Il Figlio “si consegna” (l’egoismo prende, l’amore si consegna). La gloria di Dio è donarsi, quella dell’uomo è possedere e potere. I figli di Zebedeo chiedono per sé, vivono ancora l’egoismo e l’orgoglio. Chiedere a Dio di fare ciò che voglio io è la radice del male spirituale (la Sua volontà è l’amore, la mia l’egoismo). Gesù libera i desideri (mi chiede cosa voglio, e vuole che io desideri, perché solo così posso arrivare alla meta), ed educa i desideri, perché siano di cose buone. Loro desiderano essere nella “Sua gloria”, ma intendono una gloria a modo loro, non a modo di Gesù; perciò non sanno quello che chiedono. La stessa incomprensione è negli altri dieci che si indignano per la richiesta dei due. La reazione di Gesù è un’altra vocazione (li chiama a sé), e spiga loro il senso della vita: dà al loro desiderio la direzione giusta, del servizio e del seguire il Suo modello. Ci fa capire perciò che siamo naturalmente ciechi, incapaci di vedere la realtà.

o        Cosa vuoi che io faccia per te? (10,46-52)

Ed ecco la risposta alla nostra cecità. Avviene a Gerico, città inespugnabile umanamente, espugnata solo per volere di Dio; Gerico, città a 400 metri sotto il livello del mare, 1200 più bassa di Gerusalemme, dunque il punto più lontano per iniziare la salita al Padre. La cecità non permette di vedere oltre a sé. I discepoli sono ciechi perché non riconoscono Gesù ed il Suo insegnamento. Come si guarisce dalla cecità? Quando ci si sente amati ci si fida, e dunque si vede la realtà in modo nuovo (non si vede tutto nero). Anche i discepoli sono mendicanti, di affetto, perché non accettano serenamente la condizione filiale. L’incontro con Gesù non nasce da un diritto personale: è quello che desidera che diventa ponte verso di Lui. È l’unica persona che chiama Gesù per nome, oltre i demoni. Crea perciò un rapporto personale, unico. Ha un combattimento contro la sfiducia (gli chiedono di tacere) ma lui non si rassegna, anzi, grida più forte. Gesù si ferma, perché prende sul serio Bartimeo, inizia la sua guarigione come uomo, amato e stimato. Chiede che lo portino, chiede una mediazione, che non annulla Gesù, ma Lo aiuta. Getta il mantello, cioè “tutto”, il “suo” tutto. Gesù stimola il desiderio (cosa vuoi che io faccia per te?), perché vuole che passi dal desiderio dell’elemosina al desiderio della vista. Il venire alla luce da parte di Bartimeo è una nascita, gli permette di vedere Gesù, cosa che gli Apostoli non hanno ancora fatto. Anche con Bartimeo parla di salvezza, oltre che di guarigione. La salvezza è seguire Gesù “nel cammino” cioè verso Gerusalemme.

§         Cap. 11

o        Il Signore ne ha bisogno (11,1-11)

È l’unico brano nel quale Gesù chiama se stesso “Il Signore” e dichiara ciò di cui ha bisogno: l’asino (a differenza dei cavalli e dei carri, non è per la guerra, ma per la pace). Arriva a Gerusalemme, dove deve presentarsi come Dio e vincere da Dio. Una nuova missione per i discepoli, per preparare il Regno di Dio. L’asino è segno del servizio (“somaro” = che porta i pesi). Su questo asino nessuno è mai salito, perché l’uomo non vuole portare i pesi dell’altro, ma vuole il potere e la violenza (cavalli e carri). Tutti mi diranno: “perché sleghi l’asino?”, cioè “perché proponi il servizio?” La risposta è “Il Signore ne ha bisogno” perché se non si libera l’amore non nasce il Regno.  Sull’asino si buttano i mantelli, cioè tutte le propria sicurezze, perché dopo Gesù interessa solo il servizio. Contemplare questa scena ci purifica dalle false attese di Dio.

o        La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri (11,12-19)

Due scene che introducono nella Passione. Il fico in Israele fa frutto 10 mesi all’anno, ed anche negli altri due mesi qualche frutto si può trovare.  Gesù ha fame (di cosa?). Gesù si avvicina al fico, segno del popolo, cercando il suo amore. L’apparenza è buona, ma la sostanza manca. Per Gesù è sempre tempo dei frutti (“il tempo è compiuto”, sono le prime parole di Gesù!). Non dobbiamo attendere i tempi migliori per portare frutto. Come l’asino, anche il fico è nostro grande maestro.

Il Tempio è il centro della società. Ma quale Dio è al centro di Israele? Non hanno capito che è come l’asino, come il fico. Gesù non fa una “riforma”, ma ripristina la vera immagine di Dio. Ogni religione ha delle leggi, il cristianesimo no: ha l’amore del Padre. Ogni religione chiede a Dio le grazie. Il cristianesimo no: sa che Dio mi ha creato libero ed intelligente, e mi prendo io le mie responsabilità. Gesù non vuole il culto che copre ingiustizie, ma un incontro personale con Dio. Ricorda il fico: come si può portare frutto? La falsa immagine di Dio mi dà una falsa idea del rapporto col prossimo. La folla lo accetta, mentre coloro che dal Tempio ottengono un guadagno, non accolgono la Sua novità.

o        Abbiate fede di Dio (11,20-26)

Il terzo giorno, inizia con il fico secco. È un invito alla fiducia. La fede per Gesù è un incontro completo, che coinvolge tutto l’uomo (ascolto, visione, amore…), e la conseguenza della fede è lo spostare le montagne.  E la montagna più grande da spostare è l’odio, e la si sposta con il perdono.

o        Vi domanderò una sola parola, e rispondetemi (11,27-33)

Il potere di Gesù è il cacciare il male, e presentare la verità su Dio e su di noi. Gesù è accusato di disturbare il potere costituito. Gesù accetta il dialogo, ma dove l’uomo è disposto a rispondere, non dove ha dei pregiudizi. Con la domanda Gesù li mette in crisi, perché anzitutto sono portati al monologo e non al dialogo (riflettono tra di loro), e poi perché capiscono che non sono in grado di dialogare col cuore aperto.

 

 
8 marzo:  APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (12 e 13)

 

§         Cap. 12

§         La pietra che i costruttori rigettarono, questa divenne testata d'angolo (12,1-12)

Ci sono in questo capitolo 5 confronti sul potere. Anzitutto spiega il proprio potere, con una parabola: è quello di essere ucciso, non quello di dominare (siamo a tre giorni dalla croce!). Ci fa capire che noi non accogliamo gli inviati, che però continuano ad essere mandati: Dio ha fede nell’uomo, nonostante la sua durezza, fino a mandare Suo Figlio. Le persone non riconoscono il Figlio in quanto Figlio, ma in quanto erede (uccidendolo, posso prendere io l’eredità). Le persone vogliono rubare ciò che è donato, e per rubarlo, uccidono. Il potere di Dio è prendere questo male assoluto, e fare la chiave di volta del Suo dono all’umanità.

§         Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio (12,13-17)

Qui si presenta il rapporto tra potere di Dio e potere dell’uomo. Il potere dell’uomo è violenza (il più potente uccide l’altro, è il mito iniziale di tutte le culture). Il complimento più bello di tutto il Vangelo (ma è fatto per imbrogliarlo). La persona che è sincera e non guarda in faccia nessuno, fa paura, deve essere eliminata. Gesù non avalla nessun potere sull’altro, ma insegna qualcosa di nuovo. Lo fa dialogando con loro, chiedendo perché lo tentano (Gli vogliono presentare un’altra via, il potere del possedere e della violenza), e poi dando loro l’oggettività del fatto: il denaro è segno di schiavitù, perché Cesare comanda. Ma a Gesù interessa che noi capiamo di chi siamo immagine noi. Gesù infatti non si vuole mettere in concorrenza, vuole aiutarci a capire che nel nostro intimo siamo immagine di Dio. Non vuole il potere, né l’alleanza col potere, per questo propone di dare a Cesare quello che è suo (libertà del potere civile), ma di dare a Dio ciò che è Suo (cioè tutto). Il Nuovo Testamento ci fa vedere come i primi cristiani vivevano col potere: la lealtà, ma non la schiavitù (Gesù insegna perciò la libertà dei figli di Dio). Dare a Dio significa mettere in circolo i doni, non possedere ma donare agli altri.

§         Non è un Dio dei morti ma dei viventi (12,18-27)

Anche i Sadducei non capiscono il Suo potere, mettendo alla berlina i Suoi insegnamenti. E Gesù approfitta per insegnare che Dio ha il potere di dare la vita. I Sadducei hanno fede in Dio, ma in un Dio visto a modo nostro, non come propone Lui. E non si rendono conto che non credendo nella Resurrezione disprezzano il corpo e questa vita. Quella che è un’accusa, diventa per Gesù la possibilità di dialogare con loro, partendo dall’inganno nel quale sono caduti; e l’inganno è pensare che la vita nell’al di là è la fotocopia di questa.

§         Non sei lontano dal regno di Dio (12,28-34)

Essere amato è il desiderio di fondo di ogni essere umano. Per Gesù il primo comandamento non è “una cosa da fare”, ma è “ascoltare”, perché l’ascolto ci conforma a chi ascoltiamo. Conseguenza dell’ascolto è l’amore. L’unico potere che cambia la vita è l’amore. Dio ha il potere di amare, e questo amore ci abilita ad amare, cioè ad essere ad immagine di questo Dio che ha il potere assoluto.

§         Dalla sua miseria gettò quanto aveva, tutta intera la sua vita (12,35-44)

È l’ultima attività di Gesù, il testamento, con il modello di questa vedova. Il tutto inizia con la domanda fondamentale: chi è Gesù?  Ed ora c’è proprio la risposta di fondo: è “Signore” cioè Dio come il Padre. E lo è in un modo totalmente nuovo, con l’asino e non con il carro e cavalli. Mette i guardia dagli scribi, non visti come gruppo di persone, ma come stile di fede, con le caratteristiche che enumera… con alla base perciò l’amore per sé e la condanna dell’altro. Maestro di vita invece è questa vedova: è la risposta al comandamento dell’amore, perché non trattiene nulla per sé; perché è l’immagine di Gesù, colui che ha il vero potere, di donare, di servire…

 

§         Cap. 13

§         Guardate che nessuno vi inganni (13,1-23)

Sono parole che ci aiutano a vivere il presente, senza attendere un futuro astratto, né vivere d’altra parte senza speranza. Intanto non è importante per Lui il Tempio come costruzione (siamo noi il Tempio fatto di pietre vive). Gesù richiama a vivere il presente, senza paura e senza attese che deresponsabilizzano. Questo discorso “escatologico” non riguarda la fine del mondo, ma il senso del presente. Perciò mette in guardia dall’inganno: prendere le apparenze per realtà. Il primo inganno è quello di presentare Gesù in modo sbagliato. Il secondo è quello di vedere il male come situazione da vivere, e non da combattere: il male non è subirlo, ma farlo (lasciarci guidare più dalla parola che dalle nostre paure: Gesù sta creando persone libere). Non ci si deve rassegnare all’idolo, cioè alle proposte di adorare qualche potere che non è Dio. Solo Lui mi porta la libertà, l’amore, la vita

§         Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire nelle nubi (13,24-27)

Gesù ci fa capire che non è importante la fine, ma che abbiamo un fine. Ci presenta la fine del mondo vecchio, e la nascita di quello nuovo, sulla Croce. Gesù parla dei nostri punti di riferimento (sole, luna…) che vengono distrutti, per farci capire che la Sua croce sconvolgerà i nostri modi di ragionare. Dopo la parte negativa, propone però quella positiva, la Sua venuta gloriosa, che non è una cosa nuova: è il Gesù che abbiamo potuto riconoscere sulla terra, se vogliamo (Eucaristia, fratelli, Croce, perdono dei peccati, potere del servizio…). Ci parla perciò della nostra quotidianità, dove dobbiamo riconoscere Gesù che passa ed incontrarlo.

§         Dal fico imparate la parabola (13,28-37)

Continua a mettere il fico come maestro: da lui impariamo a leggere la storia, perché Gesù è il “vero fico” sulla croce. La storia infatti dobbiamo leggerla nella realtà quotidiana. Tutto passerà, eccetto la Sua Parola, perché ciò che Lui dice è vita eterna: chi ascolta questa Parola diventa un uomo nuovo. La Sua Parola è l’amore, e questo rimarrà per sempre. Noi attendiamo questi avvenimenti se viviamo questa Parola (= amore). Senza di questo non Lo riconosciamo quando passa nella nostra vita. Con questo, sappiamo vedere la realtà storica come strada per la salvezza, anche nelle sue negatività.

 

 

22 marzo: APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (14)

  • A che pro questo spreco? (14,1-11)

Tra il desiderio dei sommi sacerdoti di uccidere Gesù, ed il tradimento di Giuda, c’è questa bella scena, l’unica presente nel mercoledì della settimana santa. Quello che fanno i sommi sacerdoti è voler “impadronirsi” di Gesù, cioè non riconoscerlo come “altro”, come persona. Coloro che combattono Gesù (anziani, sacerdoti, scribi) rappresentano il potere economico, religioso, culturale. La donna invece rappresenta le persone che sanno riconoscere ed accogliere. Il gesto della donna è raccontato in modo circostanziato (luogo, tempo e modo). Gesù entra nella nostra vita concreta (è a tavola con noi). Quella donna porta profumo, cioè vita. Non si sa chi è, non dice nessuna parola… è come la vedova, che viene solo identificata dal gesto, che in ambedue i casi dice amore. Questo gesto mette a disagio gli invitati, che reagiscono prendendolo per uno spreco. Ma in questo spreco c’è il mistero di Dio, che dona tutto se stesso, e lo fa per tutti, anche coloro che noi consideriamo indegni (Dio spreca il Suo amore). I discepoli calcolano dicendo che vogliono aiutare i poveri: ma questo calcolo prevede egoismo, e non amore. Gesù interviene per difenderla e per spiegare ciò che il profumo della donna sta facendo. Ci insegna a non mettere in contrasto Lui ed i poveri: il contrasto ci metterebbe in condizione di non avere un amore pieno, perché sarebbe comunque parziale. Questo gesto sarà ricordato con tutto il Vangelo, cioè con tutta la buona notizia, perché questo gesto “è” la buona notizia (solo lei riconosce Gesù, e dovunque c’è un atto di amore incondizionato, lì c’è Gesù e la Sua buona notizia). Il tradimento di Giuda è messo proprio in contrasto con questo gesto, perché è l’opposto dell’amore gratuito.

§         Lì preparate per noi (14,12-16)

Siamo arrivati al giovedì della settimana santa. In questo brano tornano le parole “preparare” e “Pasqua”. La Pasqua è “Agnello Pasquale”.  Preparare la Pasqua significa preparare questo Agnello, entrare nella vita di Gesù. Marco, che scrive per cristiani provenienti dal paganesimo, deve spiegare cosa è la Pasqua, cioè liberazione dalla schiavitù, dal peccato… immolare l’agnello significa ottenere la liberazione, e mangiare la Pasqua significa partecipare di questa liberazione. La domanda dei discepoli riguarda il “dove”, cioè, in quale casa (dove incontreremo Dio). Gesù invia due discepoli: ogni missione ha questo scopo, far trovare il luogo dove incontrarlo, un luogo speciale, pronto per fare festa con Lui.

  • Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue dell'alleanza (14,17-31)

La prima parte ci da il senso del dono. Tutto avviene di notte, una lunga notte fino al sepolcro (anche a mezzogiorno il sole si oscura). È il sesto giorno di questa ultima settimana, il giorno della creazione dell’uomo. Il male è nel gruppo dei Suoi, e ciò fa sperimentare l’amore grande di Gesù. il male dell’uomo è nel non sentirsi amato. Non è un insuccesso di Gesù, ma il Suo compiersi donandosi a chi lo tradisce. L’affermazione su Giuda non è una minaccia, ma un “aimè” cioè un dispiacere di Dio perché si fa il male.  L’importante è “come” si mangia, lo stile di vita che è condivisione e “mensa comune”, cioè com-unitarietà, e non sopraffazione, come l’animale che ringhia al vicino per prendergli al sua parte. Le parole del testo sono importanti. “Prendere” : non nel senso di furto, ma come segno di amore, che crea relazione. Non un è un gesto legato al culto, ma è il senso della vita stessa di Gesù. “Il pane”, segno di vita, che può essere donato o rubato. “Lo benedisse”: la prima parola è di benedizione, perché con la mia vita dichiaro che Dio fa il bene nella mia vita (più che ringraziamento è dichiarazione che Lui è l’origine della nostra esistenza). “Lo spezzò”: è la piena condivisione delle cose e di sé, è farci entrare nella Sua vita. “Lo diede loro”: è la logica della vita, perché se non dono non sono libero né parte della Trinità. Gesù dona a loro, cioè a queste persone ben precise, con i loro limiti (Pietro è ancora rinnegatore, Giuda è ancora traditore, Giacomo e Giovanni vogliono ancora essere i primi…). “Prendete…”: come lo ha preso Lui, vuole che lo prendiamo anche noi. “è il mio Corpo”, la mia persona: è il centro di tutto il Vangelo, perché la persona di Cristo è il centro di tutto. Mangiando Lui diventiamo come Lui. “Il mio Sangue”: segno della vita, per cui gli Ebrei avevano il tabù del sangue. Dandolo Gesù ci invita a condividere con Lui tutta la vita. A differenza di Adamo, Gesù non mangia, ma è mangiato. Il Sangue è segno della alleanza, cioè delle nozze. L’alleanza è impegno reciproco, la nuova alleanza è impegno solo di Dio, che si dona totalmente senza pretendere. Le ultime parole significano che Gesù resterà sempre fuori della Terra promessa (non può bere il vino, perché nel deserto non ce n’è), finché l’umanità non entrerà in essa.

  • Dimorate qui e vegliate (14,32-42)

Nella Trasfigurazione il Padre Lo chiama “Figlio”; qui Gesù lo chiama “Papà”. È giunta l’ “ora”, il completamento della Storia.  È notte, come nel caos iniziale, fonte della creazione, poi la notte di Giacobbe, nella quale combatte con Dio, poi questa e la Pasqua.  Come gli Apostoli, anche noi siamo chiamati a dimorare nella Passione (Restate qui) perché così comprendiamo la vita. In Marco Gesù prega tre volte: le prime due, prima delle tentazione di fuggire dalla volontà del Padre quando Lo vogliono prendere per farlo Re; e qui, prima della tentazione di fuggire dalla volontà del Padre non accettando la croce. Gesù dice che questo male è necessario, non perché Dio lo vuole, ma perché noi abbiamo bisogno di questa realtà per capire Dio. La parola fondamentale della nostra fede: “Papà”. Riconoscendolo così, si capisce perché è logico dire: “sia fatta la tua volontà”, perché la volontà di un Padre è il nostro bene. Pietro, cioè la roccia, sta franando; diventerà “Roccia” solo quando capirà di essere una frana. Contemplando questa notte, si capisce chi è Dio, Colui che mi ama fino a questo punto.

  • lo Sono (14,43-65)

E’ l’unica volta che Gesù si dichiara per quello che è. Umanamente è stato “impadronito”, perciò non è più libero, porta in sé il male assoluto dell’uomo, che si impadronisce del dono. Pietro confida nelle armi degli avversari. Gesù invece va contro tutte le sicurezze umane: preannuncia che il tempio sarà distrutto, non accoglie il re e la legge umana, perché la supera nell’amore. Nella Passione emergono sempre i poteri umani (sacerdoti = potere religioso; anziani = potere politico; scribi = potere culturale). Questi poteri fanno il processo non per cercare la verità, ma per trovare prove per ucciderlo. La prova che portano non è verità (Gesù non ha detto: “distruggerò”, ma “distruggete” questo Tempio). Gesù tace perché se parlasse dovrebbe condannare i Suoi interlocutori, ma il Suo modo di giudicare non è la condanna, ma la misericordia.  L’unica risposta sarà la Sua auto-presentazione, nella quale dichiara di essere Dio, il vero Dio che è proprio quello che sta sulla croce. E questa frase è una bestemmia per ogni religione, mentre è la base del cristianesimo. Oltre che la Sua persona, rivela anche il Suo volto (è sputacchiato, picchiato…).

  • Non conosco quest'uomo (14,66-72)

Pietro segue Gesù da lontano, in attesa che succeda qualcosa, nell’attesa che Gesù si converta a quello che desideriamo noi, che si difenda, che annienti i nemici. Questo Gesù delude Pietro. La serva dice una cosa che riguarda la profondità di Pietro: “era con Lui”. Pietro non ci sta, per paura. Ma così nega la sua relazione fondamentale, il suo essere discepolo. E così non è neppure apostolo, cioè testimone del Gesù che si offre in dono. La serva poi lo dice a tutti, non più a Pietro “Costui è di quelli”: non più l’appartenenza a Gesù, ma al gruppo dei discepoli. Questa appartenenza non salva, non è sufficiente per salvare Pietro: anche in questo caso nega. Il terzo momento coinvolge tutti i presenti: per la terza volta si offre a Pietro l’opportunità d capire chi è. Questa volta si parla della sua cultura, della sua appartenenza a se stesso. Ed anche questa non è accettata da Pietro. E’ vero che “non conosce quest’uomo” perché lui ha conosciuto un altro Gesù, non questo che non vuole che usi la spada, che si consegna, che si offre. Il gallo che canta ci dice che l’ultima parola non è dell’apostolo che nega, ma è di Gesù che accoglie. Ora Pietro ha la possibilità di sperimentare cosa è l’amore di Gesù per lui; qui scopre la bellezza del Vangelo. E può tornare ad essere nel gruppo dei discepoli, non dei perfetti, ma di coloro sui quali si posa lo sguardo d’amore di Gesù.

 

 
5 aprile: APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI MARCO (capp. 15 e 16)

 

Cap.  15

  • Crocifiggilo (15,1-15)

Gesù non fa il male, ma porta il male su di sé, e così salva il mondo. Gesù è legato e consegnato: è un pacco dono che passa di mano in mano. È il proseguimento dell’Eucaristia, nella quale dice “prendete il mio Corpo”. È dunque Lui che si consegna. Non è una relazione di dominio ma di dono. Il problema non è di sapere “se Gesù è Re”, ma “come è Re”. Pilato, secondo la sua logica, chiede a Gesù di difendersi; il silenzio di Gesù è per difendere noi, perché se si difendesse dovrebbe accusare noi. L’unica volta che si difende è davanti al soldato che gli dà uno schiaffo solo per ingraziarsi l’autorità. La logica del mondo è in Barabba: per togliere il male fa il male. E la società lo accoglie; non accoglie invece Gesù che insegna a rispondere al male con il bene. In ogni società si cerca un capro espiatorio, perché si ha paura della verità. Non servono argomenti razionali (“cosa ha fatto di male?”) ma si vuole solo l’aspetto emotivo. Lo stesso Pilato, che pensa di liberare Gesù, diventa schiavo della folla. Il potere non può fare il bene che vuole ma fa il male che gli impone il desiderio di mantenerlo.

  • Salve, o Re dei giudei (15,16-21)

Un brutto gioco, che è però il senso della storia: Gesù è incoronato. I soldati, abituati ad obbedire, hanno una rivalsa sull’innocente. Il Re si cerca normalmente nella potenza, nell’arroganza, invece qui lo si cerca nell’innocenza. Tutto il rito dell’incoronazione fa vedere come Gesù è vero Re: coronazione, scettro, prostrazione, bacio… Anche in questo caso Gesù sta zitto, per non replicare il male, ma interromperlo. Questo è il Suo modo di essere Re: è il sì definitivo di Gesù all’uomo. Si diventa discepoli quando si è angariati, obbligati dal male. Il Cireneo è uno che aiuta Dio a salvare il mondo. È un estraneo completo (africano, lavoratore che per caso passa lì…) eppure tocca a lui, perché anche lui è un povero cristo. Anche lui porta il male che non fa, ma che subisce.

  • Lo crocifiggono (15, 22-39)

Dio si manifesta nella carne di Gesù che si dona. Questo testo è la forma più alta di preghiera: è la contemplazione della passione di Dio per l’uomo. Terminato il corteo regale, Gesù viene intronizzato sulla Croce, e non accetta la bevanda anestetica per donare tutto… dal trono lascia il Suo giudizio, cioè il dono delle Sue vesti, cioè di tutto quello che ha, e Lui rimane nudo come Adamo che salva.  L’iscrizione sulla Croce racconta la realtà, anche se non sapendolo: Gesù è realmente Re. Gesù è tra i due malfattori, la cui croce li distrugge come loro avevano distrutto altri; la Sua croce invece salva. Tre interpretazioni della croce. Anzitutto i passanti che non capiscono: la croce è la distruzione di Dio, cioè dell’idea che l’uomo ha di Dio. È la fine di ogni religione che vede un Dio che punisce. I sommi sacerdoti dicono “ha salvato gli altri non può salvare se stesso”; è la distruzione della falsa immagine dell’egoismo che pensa a se: Lui pensa solo agli altri. Poi i crocifissi con Lui, perché vedono solo la salvezza materiale, mentre Gesù guarda oltre. Le tenebre che si addensano all’ora sesta sono il segno della fine del mondo, cioè del peccato. Gesù, nel momento più lontano dal Padre, lo sente vicino e lo chiama a sé con questo Salmo. La morte di Gesù è narrata con una scena di nascita (grido, respiro, velo del tempio che si squarcia…). L’affermazione del centurione è la risposta alle tre tentazioni di prima: non scendendo dalla croce, ma morendo si manifesta come Figlio di Dio.

  • C'erano anche delle donne che guardavano (15,40-41)

Ci sono infine i tre movimenti che portano al Battesimo: contemplazione della croce; confronto col sepolcro; esce dal sepolcro l’uomo nuovo. Questi due versetti richiamano ed uniscono tutti i fili del Vangelo. Nei punti chiave Marco mette delle donne (100 versetti su 600 parlano di loro, e sempre nei momenti più importanti). In questo caso c’è la presenza di chi non è considerato sociologicamente, e mancano quelli che valgono. Rappresentano la sposa che è generata dalla ferita dello sposo (come Eva). C’è la contemplazione silenziosa del crocifisso, senza fare nulla. Lo guardano come Dio sa guardare: con “com-passione”. Il fatto che sono alcune, significa che la contemplazione del crocifisso fa nascere la comunità. Queste donne non vengono dal nulla, ma già lo seguivano dalla Galilea, e lo servivano. Sono i tre termini che fanno il discepolo: “seguire Gesù”, “servirlo”, “essere con Lui”. Le donne che servono fanno da inclusione a tutto li Vangelo (suocera di Pietro e donne che contemplano il crocifisso). L’ “essere con” è la sintesi del discepolato.

  • Lo depose in un sepolcro (15,42-47)

Gesù è solidale con tutti noi, perché nel sepolcro incontra tutti, da Adamo al buon ladrone. Gesù cerca di distruggere la falsa idea di Dio che abbiamo: lo fa con la Sua stessa vita. Gesù dona il Suo corpo a uno del Sinedrio, cioè del gruppo che Lo ha ucciso. È il “Corpo dato per voi”, cioè l’Eucaristia. La morte di Gesù è certificata da tre testimoni. Giuseppe d’Arimatea è una persona pratica, riesce a fare tante cose in quel poco tempo prima della festa. Non si parla dei suoi sentimenti, ma delle azioni che fa per seppellirlo. Il sepolcro è il segno dell’uomo (nella paleontologia per capire se ci si trova davanti a resti umani, si cercano segni di inumazione). Il sepolcro è nuovo perché un crocifisso non può essere sepolto dove ci sono altri: li maledirebbe. La pietra chiude Gesù in questa ultima realtà umana. Ma lì Lui incontra tutti coloro che sono stati: per Lui il sepolcro non è la bocca che lo ingoia, ma il trampolino di lancio per gli inferi. Le donne stanno ancora a guardare, per capire bene dove lo pongono, e poi poter completare l’imbalsamazione.

Cap. 16

  • Gesù il Nazareno, il Crocifisso, è risorto (16,1-8)

Il Vangelo di Marco finisce qui (il resto è un’aggiunta posteriore), e finisce con la parola “perché”, lascia cioè aperta la riflessione al lettore. Il sabato è passato (sabato = riposo di Dio, riposo di Gesù), si preparano i profumi (quelli anticipati dall’unzione di Betania), si va al sepolcro, ma con l’ansia che nessuno lo possa aprire. Ma il sepolcro è già aperto, e vi trovano un giovinetto, seduto sulla destra (nella potenza di Dio), e si spaventano (la paura di vedere Dio). Trovano il contrario di quello che si aspettano. Le parole spiegano ciò che vedono: “non abbiate paura” (frase comune con cui Dio ci parla), “il crocifisso”, proprio Lui che ha dato tutto per noi “è risorto” non è più qui perché è vivo.  Ecco allora la domanda: dove lo posso incontrare, se non è qui. La risposta è: lo troverai in Galilea”.  La Galilea è l’inizio del Vangelo, è l’autopresentazione. Gesù dunque lo incontro nella Sua Parola: posso rivedere tutto il Vangelo, sapendo però che ora lo leggo sapendo che così realmente incontro Gesù. La prima reazione delle donne è la fuga. Per far diventare fiducia la paura, e annuncio il mio silenzio, devo tornare in Galilea.

  • Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura (16,9-20)

Questa aggiunta al Vangelo di Marco (è parola di Dio, ma non è dello stesso autore) comprende un racconto delle apparizioni sulla scorta degli altri Vangeli, il racconto delle conseguenze della Resurrezione nella predicazione (capacità di vincere il male nelle sue varie forme) ed un accenno all’Ascensione.

 

 

CORSO COM-UNITARIO DI BASE

 

13 ottobre

Situazione socio-religiosa in Italia oggi

(Dal libro di Franco Garelli “Un singolare pluralismo”)

 

1.1.  Religiosità e Morale oggi in Italia

Gli interventi ufficiali della chiesa hanno una eco immediata, ma in genere lasciano nell’indifferenza la maggioranza della popolazione.  È interessante però vedere delle statistiche che presentano le sfumature di questa realtà:  in una scala da 1 a 7, questa è la media di risposte alla seguente domanda:

*         per assicurare la verità in tribunale, è utile il ricordo di Dio nel giuramento?: 3,26

*         in caso di leggi che riguardano la morale, è bene sentire le autorità religiose?: 2.98

*         la religione ha oggi una grande influenza nella vita politica italiana: 4,29

*         la religione deve avere una grande influenza nella vita politica: 2,20

 

In percentuale, hanno risposto a queste domande:

*         nella nostra vita di coppia la religione ha influenza: sì 62;  no 38

*         si può abortire in caso di grave malformazione: senza influenza della religione: 90; con media influenza della religione: 85; con alta influenza della religione: 73

*         si può abortire se i genitori non vogliono bambini in quel momento: senza influenza: 46; media influenza: 29; grande influenza: 17

*         eutanasia in caso di malattia grave e dolorosa: senza influenza: 69; media influenza: 55; grande influenza: 30

 

1.2          Pratica, credenza e istituzionalizzazione

Dagli anni ’60 c’è stata non solo una diminuzione di pratica religiosa (a livello nazionale, 33% settimanali + 16% mensili secondo Garelli; 30% settimanali + 21% mensili secondo Vezzoni-Segatti, mentre nel 1968 risultavano 48% settimanali e 19%mensili), ma anche un pluralismo di fede tra i praticanti stessi.  Vediamolo in qualche statistica. Alle domande sottoriportate, rispondono:

*         esiste solo una vera religione: 25%  (10% tra i diplomati-laureati)

*         si possono scoprire verità importanti anche in altre religioni: 18% (15,50%)

*         in ogni religione ci sono verità importanti: 48% (65%)

*         credo in Dio: 50,40%

*         credo in qualcosa superiore all’uomo: 7,21%

*         credo in un Dio che è nella natura e dentro l’uomo: 35,92%

*         non credo in Dio: 29,42%

*         credo che Gesù è Dio: 57,7%

*         credo che Gesù è un profeta: 7,9%

*         non credo in Gesù: 34,4%

*         la Bibbia è Parola di Dio e va presa alla lettera: 25,31% (9,52% tra i diplom.-laureati)

*         la Bibbia è Parola di Dio ma non va presa alla lettera: 40,25% (57,58%)

*         la Bibbia è un racconto antico di storie religiose: 34,44% (32,9%)

*         la morte è la fine di tutto: 16,80%

*         non so cosa c’è dopo la morte: 40,48%

*         ci attende paradiso o inferno: 20,84%

*         c’è la reincarnazione: 4,75%

 

1.3.   Il pluralismo etico-sociale

Nell’etica sociale, quasi tutte le domande del questionario hanno dimostrato che tra i religiosi ed i non religiosi la differenza è minima. E’ più forte l’influenza politica. Gioca di più ancora però la coscienza personale, appunto “pluralistica”.  Vediamola in concreto:

*         nella valutazione della realtà, i religiosi sono più pessimisti dei non religiosi (vedono più violenza, più spreco del denaro pubblico, problemi sociali)

*         riguardo alle tasse, l’atteggiamento è simile (addirittura i più religiosi sono più permissivi all’evasione in qualche caso)

*         i religiosi vedono di più l’opportunità di differenziare le retribuzioni secondo il merito

*         nella solidarietà con i più bisognosi, i religiosi non dimostrano più attenzione degli altri

*         la struttura pubblica è poco apprezzata al Sud e nel Nord-Est (per motivi diversi, ma comprensibili sociologicamente). Non c’è invece differenza tra i religiosi o meno.

 

1.4.   Analisi dei dati emersi

La religione ha oggi in molti:

*         un’importanza notevole, se vista come oggetto di fede centrale (Dio; Gesù)

*         non molta importanza riguardo alle conseguenze di fede (al di là…)

*         poca importanza nelle questioni morali (scelgo io come credo)

Prevale perciò il relativismo culturale ed ancor più il soggettivismo etico.

 

Prendendo atto di questa situazione, oggi ci chiediamo come valutare quanto emerso, per poter proporre qualche strada concreta a noi stessi ed alla comunità.

 

 

10 novembre:    Situazione della chiesa oggi

(i suoi punti di forza e di debolezza)

 

La Chiesa del post Concilio (aspetto teologico)

Il Concilio Vaticano II è stato, per volere di Papa Giovanni XXIII, un Concilio “pastorale”. Ci ha dato perciò delle indicazioni teologiche, ma ha messo molto in luce la vita della Chiesa nel mondo di oggi.  E fra l’altro ci insegna che la Chiesa è:

un insieme di vocazioni, non una piramide

un popolo unito nel cammino verso il Signore, con un’unica legge (il comandamento nuovo di Gesù), un'unica meta (il Regno di Dio), un unico capo (Cristo)

Questa comunità è caratterizzata anzitutto dalla fede. La fede cristiana ha un oggetto ben preciso: la Trinità, con l’incarnazione della sua seconda persona.  Tutto il resto è conseguente, come abbiamo visto l’anno scorso nella catechesi per gli adulti: “Credo IN Dio”, diventa poi “Credo LA Chiesa…”, “Professo un solo Battesimo”, “Aspetto la Resurrezione dei morti e la vita eterna”.   Nella comunità deve essere chiaro che l’unità della fede ci fa cristiani convinti e coerenti. Senza questa fede si è religiosi, di una religione personale, creata da se stessi, ma non cristiani, cioè seguaci di Gesù che non crea una religione, ma racconta se stesso, cioè Dio.

Ci insegna anche che la Chiesa ha il dovere di trasmettere i valori morali che Gesù insegna. Trasmettere non significa “imporre”, ma neppure “tacere per paura”.  La Chiesa sente perciò il dovere di credere che il comportamento che Gesù insegna è il bene assoluto (non relativo alle mode, alla maggioranza statistica, al sentire del momento…), e dunque di condividerlo con tutti, credenti anzitutto, ai quali si presenta il principio della coerenza (se sei cristiano, cioè credi che Gesù è Dio, credere nella Sua Parola è conseguenza logica), e poi ai non credenti, cercando di spiegare razionalmente l’opportunità de principi etici.  Né ai credenti né ai non credenti si impone questa fede ed i relativi comportamenti: ai credenti si fa solo notare che la conseguenza del non vivere la morale cristiana è l’essere fuori dal cristianesimo, almeno in quel punto, e per coerenza fuori dalla possibilità del Sacramento della Confessione (per mancanza di impegno di conversione), e dunque dell’Eucaristia; ai non credenti si spiega che non è un bene sociale, poi si lascia che sia la maggioranza di quella comunità civile a stabilire le norme di comportamento, anche contro il parere di Gesù.

 

La storia della Chiesa (aspetto storico)

In Italia questo discorso, in sé equilibrato e sereno, fa difficoltà ad entrare perché abbiamo un retaggio storico che ci porta ad essere prevenuti di fronte alla Chiesa.

La storia della Chiesa è piena di aspetti belli, che esaltano il messaggio di Gesù portato ai singoli popoli e periodi (superamento della violenza fine a se stessa, della schiavitù, della tortura, dell’emarginazione della donna…), e piena di figure che hanno dimostrato quanto sia bello e possibile vivere in modo eroico il messaggio di Gesù (i Santi); ma naturalmente è anche piena di errori (violenze ed integralismo nell’imporre il suo messaggio, vita dissoluta di personaggi di spicco, tradimento della Parola di Gesù per il proprio tornaconto…).

La storia della Chiesa in Italia ha poi il problema del potere Pontificio, con tutte le conseguenze che comporta l’essere “Papa Re”; e poi la presa di posizione della Chiesa in politica per un partito quando, nel dopo guerra, ha voluto difendere l’Italia da una possibile invasione comunista.

 

L’anticristianesimo occidentale (aspetto sociologico)

Anche se ambedue questi atteggiamenti oggi non sussistono, tuttavia si continua ad osteggiare la Chiesa come se fossero attuali.  È quello che si chiama “l’anticristianesimo” che ha alcuni personaggi di spicco nella saggistica contemporanea, e che va da riflessioni scientifiche fino ad atteggiamenti offensivi ed acritici.

Davanti a questa realtà, il nostro compito è:

§         non scendere in polemica inutile

§         presentare gli aspetti della fede anche verbalmente

§         soprattutto testimoniare le conseguenze della fede nella vita (gioia, giustizia, equilibrio, attenzione agli altri…)

 

La Chiesa nel mondo (aspetto statistico)

Se guardiamo le statistiche della presenza cristiana nel mondo negli ultimi decenni:

Dall’annuario Pontificio del 2006

I dati statistici, riferiti all’anno 2005, consentono di sintetizzare gli aspetti principali della presenza e dell’azione pastorale nella Chiesa Cattolica nelle 2.915 circoscrizioni ecclesiastiche di tutto il mondo.

Dal 2004 al 2005 i cattolici nel mondo sono passati da poco più di 1.098 milioni a circa 1.115 milioni, con un aumento dell’1,5 % e poiché questa crescita relativa risulta assai vicina a quella della popolazione mondiale (1,2 %), la presenza di cattolici nel mondo è risultata sostanzialmente invariata (17,20 %). L’analisi geografica delle variazioni nel biennio mostra un aumento del 3,1 % di cattolici nell’Africa, che ha invece aumentato la sua popolazione di poco meno del 2,5 %.

Anche nei continenti asiatico e americano si è registrato un aumento di cattolici superiore a quello della popolazione (2,71 % contro l’1,18 % per l’Asia e l’1,2 % contro lo 0,9 % per l’America).

In Europa si assiste ad un lieve aumento dei cattolici ed ad una quasi stazionarietà della popolazione presente.

Il numero dei sacerdoti, sia diocesani che religiosi, è passato nel biennio 2004-2005 da 405.891 a 406.411, con un aumento relativo dello 0,13 %. Questo vale a livello mondiale in quanto per le singole ripartizioni geografiche le variazioni sono differenziate. A fronte di importanti incrementi per l’Asia e per l’Africa, dove si registra un + 3,80 % e un + 3,55 % rispettivamente si pongono l’Europa e l’America con una flessione di circa mezzo punto percentuale e l’Oceania con un calo dell’1,8 %.

La distribuzione percentuale dei sacerdoti per continente evidenzia lievi cambiamenti nel biennio considerato. Africa ed Asia contribuivano complessivamente nel 2004 al 19,58 % del totale mondiale; nel 2005 la loro quota era salita al 20,28 %. L’America mantiene nel tempo una frazione di circa il 29,8 % mentre l’Oceania rimane relativamente stabile attorno ad una quota di poco più dell’1 %. L’unico continente che ha visto diminuire la propria quota è l’Europa: nel 2004 i 199.978 sacerdoti europei rappresentavano quasi il 49,3 % del totale del gruppo ecclesiastico, mentre un anno più tardi erano scesi al 48,8 %.

Il numero degli studenti di filosofia o di teologia nei seminari diocesani o in quelli religiosi è passato da 113.044 nel 2004 a 114.439 nel 2005. Complessivamente nel biennio si è avuto un tasso di aumento dell’1,23 %. Tale variazione relativa è stata positiva in Africa (3,46 %), in Asia (2,90 %) e in America (0,6 %), mentre l’Europa ha fatto registrare un calo dell’1,9 %. Il numero di seminaristi in Oceania si è stabilizzato intorno alle 950 unità.

Nel 2005 su 100 candidati al sacerdozio di tutto il mondo, 32 erano americani, 26 asiatici, 21 africani, 20 europei e 1 dell’Oceania.

Vediamo che c’è un andamento bipolare:

§         nel mondo occidentale c’è una diminuzione di partecipazione alla vita della Chiesa (sia proprio dei Battezzati, sia delle scelte cristiane da parte di chi è già nella Chiesa), a vantaggio dell’agnosticismo relativista, dell’ateismo, o, molto meno, di sette religiose che assicurano la protezione del piccolo gruppo coeso

§         nel cosiddetto “Terzo Mondo” invece c’è un aumento considerevole di cristiani, ed un mantenimento di qualità di fede e di coerenza nel comportamento a livello alto

Nella gioia per la vita della Chiesa in quei paesi, siamo però chiamati a lavorare perché anche nel nostro ci sia sempre più coerenza nella comunità Eucaristica, e partecipazione ad essa da parte di chi si è allontanato.

 

15 dicembre: Le nostre risposte kerigmatiche

(constatazioni e proposte)

 

In questa realtà sociologica ed ecclesiologica, siamo chiamati a vivere ed agire, senza pessimismo, ma con fiducia ed impegno.  Quali risposte diamo a queste sfide?

La prima è a livello kerigmatico, cioè nel primo annuncio a chi non fa parte della comunità Eucaristica.

Abbiamo a disposizione parecchie occasioni per offrire questo annuncio:

§         incontri di amicizia

§         benedizioni delle famiglie

§         richieste di Sacramenti

§         visite agli ammalati

§         funerali

l’importante è il modo come si fa, perché si può anche essere controproducenti se c’è un clima di arroganza, di disinteresse, di ipocrisia… 

Ecco allora delle proposte concrete:

§         santità personale

§         idee chiare: conoscere perciò

o        bene il Vangelo

o        un po’ di teologia (la riflessione fatta sul Vangelo)

o        le proposte del Magistero in modo diretto e non mediato dai mass media

§         coerenza tra parole e atteggiamenti: ciò riguarda soprattutto l’aspetto che più colpisce, cioè la giustizia e la disponibilità verso gli altri

§         attenzione al bene delle persone che si incontrano: questo bene per un “missionario” è sopra tutto, anche sopra i propri gusti, i propri desideri… sono perciò

o        attento a come parlo, per non offendere

o        attento a come agisco, per non essere di contro testimonianza

o        cerco di non rompere una possibilità di dialogo, ma di lasciare porte aperte (è meglio lasciare che una persona sbagli moralmente, piuttosto di rimproverare in modo che poi non si possa più parlare)

 

Ed ecco qualche domanda per il nostro “laboratorio pastorale”

§         Come sta vivendo la nostra comunità questo aspetto?

§         Quale atteggiamento manca alla nostra comunità per farne una vera comunità “kerigmatica”?

§         Quale richiesta si può fare ai nostri presbiteri perché siano sempre più kerigmatici?

 

 

26 gennaio:  Le nostre risposte caritative e sociali (constatazioni e proposte)

 

La seconda risposta che prendiamo in considerazione è forse la più importante dal punto di vista sociologico, perché è quella che si nota di più, che lascia il segno di una testimonianza cristiana nel quartiere e nella città.

In una comunità cristiana la carità è una conseguenza logica dei due passi che teologicamente la precedono, cioè la conoscenza del Signore (kerigma, catechesi, riflessione personale e comunitaria…) e l’incontro personale con Lui nei Sacramenti.  Un cristiano infatti che ha conosciuto il signore nella Sua realtà profonda, e lo ha incontrato con fede e con gioia, non può poi che servirlo nel Suo Corpo che è l’umanità, soprattutto quella sofferente.

Fermarsi all’aspetto spirituale dell’ascolto della Parola e dei Sacramenti non rende ancora discepoli completi, ma solo a metà, perché manca quello fraterno che per Gesù è uguale di importanza.

Vediamo allora anzitutto qualche proposta pratica per dare una risposta valida e credibile in questo ambito della nostra vita cristiana:

* l’opzione preferenziale per i poveri: non significa escludere l’attenzione agli altri, ma equilibratamente dare un’attenzione maggiore a chi ha più bisogno (poveri non solo materialmente…). È come in una famiglia nella quale i genitori amano tutti i figli, ma danno più tempo ed attenzione a chi ne ha più bisogno

*  uno stile di vita da acquisire personalmente: carità non significa in primo luogo l’aspetto economico, ma un modo di essere, nel quale l’altro è al centro delle mie attenzioni

un’attenzione comunitaria, e non solo personale: se i cristiani acquisiscono questo stile personale, la comunità stessa ne è animata. 

una animazione della comunità, perché questa coscienza sia sempre più diffusa: le persone che fanno volontariato nella caritas in particolare hanno il compito, prima che di svolgere il loro servizio concreto, di animare tutta la comunità perché acquisisca questo stile di vita

*   una concretizzazione in attività concrete, utili e di testimonianza: se la comunità è così animata, diventa allora logico condividere i talenti (tempo, capacità professionali, capacità caratteriali, possibilità economiche…)

 

Ed ecco qualche domanda per il nostro “laboratorio pastorale”

*   Come sta vivendo la nostra comunità questo aspetto?

Quale atteggiamento manca alla nostra comunità per farne una vera comunità caritativa?

Quale richiesta si può fare ai nostri presbiteri perché siano sempre più attenti ai bisogni delle persone?

 

 

 23 febbraio:   Le nostre risposte catechistiche

 

La terza risposta alle sfide sociologiche ed ecclesiologiche del mondo di oggi è quella catechistica.

Le ultime due “risposte” che diamo alle sfide di oggi sono interne alla comunità. Infatti la catechesi è l’approfondimento della fede per coloro che già hanno avuto il primo annuncio, ed hanno accolto la sequela di Gesù come stile di vita.

Questo aspetto non riguarda tanto il nostro rapporto al di fuori (testimonianza nel quartiere e nella città) ma la nostra preparazione all’interno, per poter poi portare meglio il nostro servizio ai fratelli che non hanno scelto di far parte della comunità Eucaristica.

Vediamo allora come al solito qualche proposta pratica per dare una risposta adatta ai tempi a coloro che chiedono di far parte della nostra comunità Eucaristica:

*   il tutto inizia naturalmente con il Battesimo

*  preparando in modo adeguato i genitori ad avere le idee chiare sugli impegni che prendono nel Battesimo dei figli, e poi a trasmettere ai bambini la loro amicizia con Gesù

preparando in modo adeguato gli adulti che chiedono di essere accolti nei Sacramenti dell’iniziazione cristiana

* continua poi con la preparazione alla Prima Comunione, che prevede un coinvolgimento completo dei genitori, che nel Battesimo avevano preso un impegno non delegabile di educare cristianamente i figli

*   passa poi nella scelta personale di seguire un amico che coinvolge tutta la mia vita, attraverso un cammino che comprende il Sacramento della Cresima, ma che va oltre, per diventare un approfondimento “a vita” cioè adeguato alle varie età (adolescenza, gioventù, maturità, fase di inizio della vita di coppia, genitorialità)

 

Ed ecco qualche domanda per il nostro “laboratorio pastorale”

Come sta vivendo la nostra comunità questi singoli passi dell’accompagnamento di un cristiano?

*  Cosa manca ancora alla nostra comunità per farla realmente capace di questo accompagnamento?

Quale richiesta si può fare ai nostri presbiteri ed ai nostri catechisti perché siano sempre più capaci di accompagnare le persone verso Cristo?

 

 

16 marzo:   Le nostre risposte liturgiche e spirituali

(constatazioni e proposte)

 

L’ultima risposta a queste sfide è quella liturgica.  Anche questa è una “risposta” che diamo all’interno della comunità, per prepararla a portare con gioia il messaggio di Cristo ai fratelli. Riguarda infatti solo coloro che hanno deciso di vivere vicino a Gesù, perché si riferisce alla celebrazione dei Sacramenti.  È però anche una risposta sociale, perché una celebrazione dignitosa ed attraente è un richiamo per molte persone non del tutto lontane, ma disinteressate e distratte.

 

Vediamo ancora una volta qualche proposta pratica per chiederci come affrontare questo aspetto che fonda la nostra comunità Eucaristica, nei tempi attuali:

*   aver chiara l’idea che l’incontro liturgico con Cristo è conseguenza del Suo amore Trinitario per noi:

aver chiara l’idea che l’incontro liturgico con Cristo è un atto ecclesiale, e non personale o della singola piccola comunità:

aver chiara l’idea che l’incontro liturgico con Cristo è un atto ecclesiale, cioè per tutta la comunità Eucaristica, e non può seguire i gusti personali:

*   impegno dunque per rendere ogni celebrazione mezzo per un incontro personale e gioioso con Cristo:

*   impegno conseguente a trasfondere nella preghiera personale e comunitaria la gioia di questo incontro (soprattutto l’incontro con Cristo-Parola): 

 

Ed ecco qualche domanda per il nostro “laboratorio pastorale”

*   Come sta vivendo la nostra comunità la gioia dell’incontro domenicale con Gesù?

*   Come sono percepiti e vissuti gli altri Sacramenti?

*  Quale richiesta si può fare ai nostri presbiteri perché rendano più dignitosa, comprensibile e partecipata la celebrazione domenicale?

*   In quali modi la comunità può collaborare perché la nostra liturgia sia più attenta ai bisogni ed alle attese delle persone di oggi?

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 20-02-14