Archivio documenti ed attività per la
Catechesi per adulti e

per il Corso com-unitario di base

 

CATECHESI PER GLI ADULTI

 

06 ottobre

La vita umana di Gesù

 

Numeri 101 - 111 del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica

 

L’infanzia di Gesù

La prima parte del Vangelo ci insegna in particolare che Gesù è vero uomo.

Due Vangeli ci parlano della nascita di Gesù (Matteo, partendo da una tradizione che porta l’esperienza di Giuseppe, e Luca, che porta una tradizione con l’esperienza di Maria), e solo Luca ci accenna all’infanzia e giovinezza di Gesù, con pochissimi versetti.

E questo per due motivi:

§         a parte Maria, non ci sono altri testimoni dell’infanzia di Gesù, ed il Vangelo ci parla di ciò che gli autori (Apostoli o loro discepoli), hanno visto ed udito

§         gli insegnamenti fondamentali per la nostra vita sono dati nella vita pubblica di Gesù

La vita a Nazaret però ha per noi degli insegnamenti importanti, che Luca accenna nei suoi pochi versetti: non sono parole di Gesù, ma la sua stessa vita per più di 30 anni (pensiamo che Dio diventa uomo, e trascorre nove decimi della Sua vita da persone “normale”):

§         Gesù cresce come ogni uomo, è dunque pienamente uomo

§         Gesù vive una vita di famiglia secondo il quarto comandamento (onora il padre e la madre)

§         Gesù lavora manualmente, ed insegna perciò che ogni lavoro è santo

 

Le tentazioni ed il Battesimo di Giovanni

A circa 30 anni, inizia una nuova fase della Sua esistenza.  Lo fa

§      con un periodo di riflessione (40 giorni nel deserto, in penitenza. Sappiamo che 40 significa: “tanto quanto basta”, dunque è un periodo indefinito, che per l’uomo Gesù è sufficiente per dargli la giusta preparazione),

§      subendo delle tentazioni, che ci insegnano che la tentazione non è un male (se no Gesù non l’avrebbe subita), e che per vincerle bisogna essere ancorati alla Parola di Dio che ci dà le giuste indicazioni di vita

§       ricevendo il Battesimo di Giovanni, fatto che ci insegna

o     che Gesù ha una psiche umana. Come uomo, sa di essere Dio in modo progressivo. E la pienezza di questa coscienza avviene quando il Padre Gli dice “Tu sei mio Figlio”

o    che Gesù ha l’umiltà di prendere su di sé i nostri peccati, mettendosi in fila con i peccatori che ricevono questo segno di preparazione alla venuta del Messia.

 

La predicazione del Regno

La seconda parte del Vangelo invece ci insegna i particolare che Gesù è il Figlio di Dio, Dio come il Padre.

Inizia con la predicazione di Gesù, che ha come fulcro il Regno di Dio, cioè la presenza di Dio nell’umanità. Dio è presentato come “Padre”, che ama dunque tutti i figli, e li desidera tutti con sé; ogni persona è perciò invitata nel Regno di Dio.

La chiesa è lo strumento privilegiato per raggiungere il Regno, ma non si identifica in esso. Si è figli del Padre, si è con Lui, anche se si è fuori della chiesa, non in modo colpevole (riconoscendo Cristo e non accettandolo), ma in modo inconsapevole. La Chiesa però, con il suo patrimonio di verità della Parola, con i Suoi Sacramenti, con il Magistero che ci aiuta a comprendere con chiarezza la Parola, è un a sicurezza maggiore per raggiungerlo.

 

I miracoli

Tutti gli insegnamenti di Gesù sono avvalorati da “segni”.  I miracoli infatti sono solo questo: segni che indicano la credibilità della Parola spirituale, soprannaturale di Gesù, che insegna cose umanamente incomprensibili, al di fuori della nostra esperienza umana. Non hanno un valore in sé, né tanto meno devono essere visti come “il fine” dell’incarnazione (se no Gesù dovrebbe fare miracoli a tutti, e non sarebbe giusto se non li facesse). Gesù proclama l’amore del Padre, che si manifesta nella Sua presenza e nel dono di sé. Poiché l’uomo è scettico, prima di credere vuole avere delle prove; i miracoli sono queste prove. Il miracolo più importante è quello del paralitico, al quale Gesù dichiara: “Ti sono perdonati i peccati”, e per far credere che Lui sa perdonare i peccati, lo guarisce.

 

Il ruolo degli Apostoli

La vita pubblica di Gesù è dedicata alternativamente alla predicazione “alla folla” ed alla preparazione dei Suoi “Apostoli”. Dedica molto tempo a questi 12 uomini che ha scelto perché continuassero la Sua opera di predicazione, di coordinamento della comunità e di attualizzazione dei Suoi doni (i Sacramenti). Non li scegli perché buoni, né perché intelligenti, ma persone normali, esattamente come noi, in modo che si capisca che la nostra fede non si basa sulla santità di Pietro e degli altri, né sulla loro dottrina, ma solo su di Lui.

 

 

20 ottobre

Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto

 

Numeri 112 - 123 del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica

 

Il fatto storico

Anche Tacito ricorda di Gesù solo questo, che è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato. Gesù predica il Regno, cioè la paternità di Dio e la propria divinità donata all’uomo. E questa novità non è accolta dagli Ebrei, soprattutto dai più pii e tradizionalisti (i Farisei), che non possono accettare che Dio sia un Padre, che diventi uomo, che si metta a servizio dell’umanità… e fin dall’inizio della vita pubblica di Gesù cercano di eliminarlo. Ci riusciranno dopo tre anni circa, non direttamente (Israele è una colonia romana, e la condanna a morte era riservata al potere dominante), ma tramite l’autorità Romana, che infliggerà a Gesù la pena riservata agli schiavi, agli stranieri, cioè la crocifissione.

 
A chi è imputabile la morte di Gesù

La riposta è variegata:

anzitutto a quegli Ebrei che non comprendevano le Sue novità, e che non accettavano perciò che Lui si proclamasse Figlio di Dio (questa non è una colpa morale soggettiva, perché quelle persone erano semplicemente ligie alla loro legge, ma è solo è una responsabilità oggettiva). Ciò comporta che è sempre sbagliato attribuire a tutti gli Ebrei di ogni luogo e di ogni epoca la morte di Gesù

*   poi ai romani, in particolare a Ponzio Pilato, che non ha saputo far valere la sua autorità e la sua cert4ezza che Gesù fosse innocente, e glielo avessero portato solo per motivi religiosi, e non per un delitto passibile di morte

ma soprattutto al peccato dell’uomo, davanti al quale il Padre ha chiesto a Suo Figlio di sacrificarsi per perdonarlo in modo completo e definitivo.

Perché il Padre ha fatto morire Gesù

Nascono però qui due problemi: “Il Padre era così cattivo da dover lavare l’offesa fatta dal peccato col sangue del Figlio?” e poi “Gesù doveva proprio patire la croce, o poteva salvarci anche diversamente?”

Il Padre non vuole lavare l’offesa col sangue, vuole solo che noi possiamo comprendere il Suo amore che ci vuole perdonare. E come si capisce l’amore? Nella nostra natura umana, io capisco l’amore solo se chi mi dice di amarmi sa fare un sacrificio per me.  Ora il Padre mi dichiara un amore infinito, e me lo fa vedere con un segno infinito: la vita di Suo Figlio.

La Croce di Gesù allora non è un obbligo per Lui, ma è il modo migliore per comunicarci questo amore del Padre, segno che Gesù accetta volentieri per trasmetterci questa certezza del perdono.

 

Gesù ha paura della morte

La realtà umana e divina di Gesù si manifesta pienamente nell’Orto del Getzemani, dove accetta l’umiliazione della paura della sofferenza e della morte, e dove ci insegna il modo di superarla: lo comprendiamo se leggiamo così il testo di tutti e tre i Sinottici:

*   Gesù dichiara al Padre la Sua paura trascorre un’ora di combattimento spirituale, tra questa paura ed il desiderio di fare quanto il Padre Gli ha chiesto, cioè di donarsi per farci comprendere il Suo amore

*   al termine decide a favore la volontà del Padre

 

Gli effetti della croce nella nostra vita

Con la Croce di Gesù si verificano degli effetti importanti nella vita degli uomini:

*   la Sua obbedienza sana la disobbedienza dell’uomo

*   l’amore senza limiti dell’uomo-Dio ricostruisce l’amore dell’umanità per Dio

*  l’amore senza limiti dell’uomo-Dio ricostruisce la possibilità per l’uomo di incontrare Dio nell’eternità

l’esempio di Cristo ci insegna a prendere la nostra croce e seguirlo nel dono della nostra vita al Padre (“completo nella mia carne ciò che manca alle sofferenze di Cristo” Col. 1,24)

 

 

03 novembre  

Discese agli inferi e il terzo giorno resuscitò dai morti

 

Numeri 124 - 131 del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica

 

Significato della frase “discese agli inferi”

Questa frase ha tre significati. 

§      Anzitutto significa semplicemente che Gesù è realmente morto, la Sua vita umana è terminata, e la Sua realtà profonda è spezzata (il corpo è nel sepolcro, l’anima è nell’al di là).

§      Cosmicamente significa che Gesù, con questa disgregazione, si immedesima ancor più nella situazione umana, liberandola da questa nullità

§      Nella storia della salvezza significa che Gesù ha liberato coloro che erano morti prima di Lui, ma in stato di giustizia, della privazione della Visione Beatifica di Dio. Le persone prima di Cristo, anche se giusti e santi, pur essendo salvi, non potevano godere della Visione di Dio, annullata dal peccato originale. La Discesa agli Inferi di Gesù offre loro questa pienezza della salvezza.

 

La Resurrezione di Gesù: il fatto storico

La Resurrezione di Gesù non è un fatto provabile storicamente nel senso che non ha avuto testi­moni diretti. E' però un fatto storico, perché si possono avere delle garanzie della sua credibilità partendo dal sepolcro vuoto, dai racconti delle apparizioni, dalle conseguenze nella vita degli Apostoli.

E' come in un processo indiziario: si cercano delle prove, delle testimonianze, e si indaga nella vita dei testimoni per verificarne l'attendibilità.

§      La prima prova è il sepolcro vuoto, così come ci è raccontato dalla testimonianza di Giovanni. Questo Apostolo partecipa alla sepoltura di Gesù, collabora a mettergli un fazzoletto sulla faccia, a deporlo in un lenzuolo, stringere il lenzuolo con delle bende, mettere il corpo così avvolto nel sepolcro. Quando la Maddalena va a dire ai discepoli che Gesù non c’è più, va a cercare il ladro, pensando che l’avessero rubato. Arrivato al sepolcri, dichiara lui stesso, “entrò, vide e credette”, perché ha visto una cosa sconvolgente, espressa dal termine greco “ta oqonia keimena” che significa “le bende giacenti”.  Giovanni vede perciò tutto come aveva lasciato, ma il lenzuolo avvolto in bende è “afflosciato”, senza il corpo dentro, ed il fazzoletto che aveva porto sulla faccia di Gesù è piegato lì vicino.  Questa per lui è una prova sufficiente.

§      La seconda prova sono le apparizioni a discepoli increduli, che fanno difficoltà a riconoscerlo. Se avessero dovuto inventare le apparizioni, Lo avrebbero rappresentato vittorioso, potente, riconoscibile, accolto con entusiasmo dai discepoli convinti e pronti a combattere per Lui…

§      La terza prova è la fede degli Apostoli che su questa basano la propria vita, ed il proprio martirio.

 

Chiediamoci allora, a questo punto: perché i suoi Apostoli e discepoli non l'hanno riconosciuto dopo la Resurrezione?  Possiamo vedere queste motivazioni:

§      perché non avevano ancora fede

§      perché Gesù è risuscitato col suo corpo, ma in modo "glorificato"

§      perché Gesù segue sempre la pedagogia del "Se vuoi, seguimi", e non dell'imposizione della Sua persona

 

Il corpo nella Resurrezione

Uno degli aspetti più importanti della razionalità della nostra fede è che la Risurrezione di Cristo non è stata un ritorno puro e semplice alla vita terrena. L’uomo vorrebbe questo: continuare la vita di cui ha esperienza, e non è interessato a chi gli offre la vita, anche eterna, ma in altro modo. E Gesù fa proprio questo: è vero che il suo corpo risuscitato è quello che è stato crocifisso e porta i segni della sua Passione, ma è ormai partecipe della vita divina con le proprietà di un corpo glorioso. Non è perciò più soggetto alle leggi fisiche (e questo non ci dispiace), ma neppure agli istinti umani (e questo ci da fastidio, perché non possiamo continuare a fare ciò che più ci piace sui questa terra!).

 

24 novembre  

Salì al cielo, dove siede alla destra di Dio Padre onnipotente.

di là verrà a giudicare i vivi e i morti

 

Numeri 132 - 135  del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica

 

Ascensione tra realtà storica e linguaggio simbolico

L' Ascensione di Gesù è l'ultimo episodio della vita terrena di Gesù descritto nel Nuovo Testamento: 40 giorni dopo la sua morte e Resurrezione salì al cielo.

Il racconto biblico descrive che Gesù è salito al cielo con il suo corpo, alla presenza dei suoi apostoli per unirsi fisicamente al Padre.

L'Ascensione di Gesù al cielo è descritta nei vangeli e negli Atti degli Apostoli. Dopo la sua salita al Padre il Gesù non apparirà più sulla Terra, fino alla sua Seconda venuta alla fine del mondo.

I vangeli sono molto parchi di parole nel raccontare questo episodio.  Gli Atti degli Apostoli riportano un racconto un po' più esteso dell'Ascensione di Gesù (1,3-11)

Nelle lettere canoniche non viene descritto il fatto, ma vengono presentati le conseguenze dell'Ascensione di Gesù per il fedele (Ef 4:7-13, 1Tm 3:16, 1Pt 3:21-22)

L’Ascensione fa parte dell’annuncio iniziale della salvezza, e non è tanto presentata come un fatto, quanto come il segno dell’elevazione dell’umanità di Cristo alla potenza del Padre.

Ciò non nega la storicità del fatto.  Il problema non è sulla realtà, ma sul linguaggio con il quale è stato espresso nel Nuovo Testamento, e si può eventualmente riformulare oggi.   Il linguaggio infatti è “apocalittico”, un linguaggio ebraico che si usava in quel popolo per esprimere le realtà ultime.  Non è un linguaggio mitologico (cioè raccontare con una favola), ma è un modo di esprimere figurato (come quando noi diciamo: “sono sotto un treno”, per dire “sono stanco”,  oppure “gli porta l’acqua con le orecchie” per dire “ è al suo servizio completo, quasi esagerato”.  Il linguaggio allora è figurato, dunque deve essere riespresso con linguaggio attuale, ma la realtà rimane immutata.

Per capirlo, vediamo come Giovanni e Luca parlano dell’esaltazione di Gesù:

§         Giovanni ne parla soprattutto

·         riguardo alla Croce (vedi per es. Gv. 3,14: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo.  Gv. 8,28: Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo)

·         dopo la Resurrezione, attribuisce la Sua esaltazione alla potenza definitiva che il Padre gli dà (Gv. 20,17: Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»).

§         Luca invece vede l’esaltazione del Signore nel fatto storico dell’Ascensione, ma espresso con termini simbolici:

·         “sedere alla destra del Padre”  (Atti 2,32-33: Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio…), cioè di avere tutta la potenza del Padre, cosa che Giovanni aveva già dichiarato, ma nei contesti della lavanda dei piedi (Gv. 13,3: Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava) e della croce, come già visto

·         l’esempio della nube che lo vela (At. 1,9: Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo) per indicare la presenza-assenza (presente nello Spirito, nella Chiesa con Pietro e gli Apostoli, nella Parola, nei Sacramenti… assente perché non si vede più come lo si vedeva ogni tanto dopo la Resurrezione)

 

Gesù Re dell’Universo secondo il Vangelo

Nel Nuovo Testamento Gesù è chiamato “Re” 33 volte. Sempre in bocca ad altri (Pilato, i Magi…) eccetto in Giovanni 18,37 dove Gesù, rispondendo a Pilato, afferma: “Tu lo dici, Io sono Re”.   Negli Atti degli Apostoli si dice che i Suoi discepoli sono accusati di seguire un altro Re, Gesù.  E l’Apocalisse presenta l’Agnello Immolato come il vero Re dell’Universo.

È da notare che in quasi tutti questi brani la regalità di Gesù è posta in rapporto con la Sua Croce.  Gesù è un Re particolare, che ha come trono la Croce, come vesti regali la nudità del patibolo, come scettro le mani aperte nell’accoglienza del figlio fuggito di casa.

 

Il Giudizio personale ed il Giudizio finale (cosa significa per Gesù “essere Giudice”)

Normalmente pensiamo che il Giudizio universale (o Giudizio finale) avverrà alla fine dei tempi: Dio giudicherà tutti gli uomini in base alle azioni da loro compiute durante la vita, e destinerà ciascuno al Paradiso oppure all'Inferno. Questa dottrina fa riferimento ad una celebre parabola di Gesù (Matteo 25,31-46).  Questa visione non è teologicamente completa, soprattutto nel linguaggio (non è espressa bene) Vediamo come la teologia, soprattutto biblica, ce lo spiega:

·         noi non abbiamo esperienza dell’al di là, perciò ne possiamo parlare solo per immagini. Pensando che ci sarà l’unione con Dio o la lontananza da Lui, a seconda della nostra vita terrena, la nostra esperienza è quella del “processo” che dà una sentenza; si pensa allora ad un Dio “giudice” la cui sentenza è eterna (Paradiso – Inferno).

·         c’è un futuro “infrastorico” che è il risultato, la continuazione del presente. C’è un futuro “divino” che ci accade, e che è totalmente nuovo. Noi naturalmente attendiamo il primo, perché del secondo non abbiamo esperienza. Anche riguardo all’al di là ce lo immaginiamo come continuazione di questa vita, e non desideriamo una vita totalmente diversa, anche se bella…

·         per uscire da questa situazione dobbiamo guardare il Cristo Crocifisso e le parole che ci ha lasciato sul significato del giudizio: non vuole la condanna, ma la salvezza. Per Lui perciò “giudizio” vorrà dire “ricostruire la giustizia”, cioè la situazione che il Padre ha creato (uomo che vive nell’amore e non nell’egoismo).  Lo farà dandoci la possibilità di tornare all’amore, oppure lasciandoci essere lontani da Lui per sempre, se non vogliamo questa “giustizia”

·         non esiste la possibilità di conversione dopo la morte, perché la scelta è legata al nostro essere in questa fase umana della vita, e dopo la morte non lo siamo più. Non esiste neppure l’annientamento del peccatore (come dicono per esempio i Testimoni di Geova), ma, secondo la Parola di Dio, l’eternità con o senza Dio.

L’importante è perciò comprendere bene il significato di “essere giudicati” perché tutto il Vangelo ci parla di Gesù che viene “non per giudicare, ma per salvare l’umanità”, e che “chi non crede è già giudicato”. Il giudizio di Dio non è da vedere secondo il paradigma umano di un processo, ma è la presa di coscienza dell’uomo davanti allo specchio, che è Dio stesso.

 

Del Giudizio Universale si parla anche in altre religioni. Per esempio:

§         Nell’Islam si crede nel Giorno del Giudizio, cioè il giorno che il Corano afferma essere destinato dall’eternità da Dio per il Suo Giudizio finale dell'umanità. Alla fine dei tempi, in un luogo non precisato, ma che la tradizione islamica ha individuato nell'area di Gerusalemme, gli uomini vissuti fin dal tempo della creazione di Adamo saranno resuscitati e chiamati tutti a render conto delle loro azioni per ricevere il premio o il castigo divino. Le azioni umane saranno poste da Angeli su una "bilancia". Il peso delle azioni buone rispetto a quelle malvagie indicherà chiaramente il responso. Gli uomini s'incammineranno allora lungo una "strada" che sarà posta al di sopra dei luoghi infernali, dove i reprobi saranno sottoposti a torture fisiche e psicologiche. Ciò avverrebbe in funzione di una sorta di "legge del contrappasso". I malvagi precipiteranno da questo "ponte"  mentre i beati lo attraverseranno senza alcun problema fino al suo punto terminale. Qui, in un "bacino" essi si abbevereranno per non soffrire mai più di sete. Entreranno quindi attraverso la porta del Paradiso, che altro non è che un "giardino" lussureggiante, solcato - come ricorda la sura LV del Corano - da fiumi di latte, miele e vino non inebriante, rallegrato da fontane aromatizzate da canfora e zenzero, in cui i buoni di entrambi i sessi saranno intrattenuti e assistiti nell'eterno gaudio da soprannaturali fanciulle e fanciulli.

Nell'Induismo Garuda Purana tratta diffusamente dei giudizi e delle punizioni dopo la morte.  La trasmigrazione dell'anima è regolata dal Karma: la filosofia del Karma è basata sulle azioni compiute dal soggetto, che resteranno impresse sulla sua anima (Ātman) dell'essere individuale (jīva), attraverso un ciclo di nascita e morte fino alla liberazione definitiva

 

 

15 dicembre

Credo nello Spirito Santo

 

Numeri 136 - 146 del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica

 

Chi è lo Spirito Santo

Lo Spirito Santo è una persona divina, la terza persona della Trinità.

La Parola di Dio ce lo presenta così:

Dio che santifica: "Lo Spirito Santo scenderà su di te... perciò quello che nascerà sarà Santo..."

*   Dio che consacra per la missione: "Lo Spirito del Signore è su di me e mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a..."

Dio che dona la forza per la missione: "Apparvero lingue come di fuoco, che si posarono su ciascuno di loro... ed essi cominciarono a parlare in altre lingue..."

Dio che illumina per capire la Parola di Gesù: “Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future”

*   Dio che opera come vuole: "Tutte queste cose è l'unico Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole" (il fatto che ha volontà propria, significa che è veramente persona divina)

Dio che dona la vita nuova: nel Credo diciamo dello Spirito "che è Signore e dà la vita". Questa vita nuova è quella che Gesù ci ha acquistata con la Sua salvezza, e che lo Spirito ci trasmette, ci permette di prendere e di gustare, con la sua forza

*  Dio che ci dona la vita nuova nei Sacramenti: tutti i Sacramenti sono dati nel nome della Trinità. Ed il compito dello Spirito Santo è appunto quello di permetterci di ricevere la nuova vita che la Trinità intera ci offre.

*   Dio che edifica la Chiesa: dalla Pentecoste è lo Spirito che guida e da forza ad ogni membro della Chiesa per edificarla come unico corpo.

 

Da chi “procede” lo Spirito Santo

Il Concilio di Costantinopoli aveva detto "Qui ex Patre procedit", per insegnare la di­vinità dello Spirito. Già dal V secolo in Occidente si è aggiunto il "Filioque" per indi­care che lo Spirito è amore che unisce Padre e Figlio. Sono due punti di partenza di­versi: se si guarda alle persone divine, dobbiamo dire che lo Spirito procede dal Padre, come il Figlio è generato dal Padre (monarchia divina); se guardiamo alle relazioni interne, dobbiamo dire che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio che si amano.  La soluzione non sarà in una delle due formule, ma nel comprendere che ciascuno inten­de la stessa cosa, vista in modo diverso.

 

Rapporto tra Spirito Santo e creatura, secondo il Nuovo Testamento

Noi siamo abituati ad una fede molto “Cristocentrica” e dimentichiamo spesso le altre Persone della Trinità. Lo Spirito Santo è invece fondamentale nella vita del singolo cristiano (perciò nella nostra vita) ed i quella della Chiesa.  Vediamo alcuni di questi interventi:

*   lo Spirito Santo ha parlato per mezzo dei Profeti: abbiamo spiegato lo scorso anno che la Sacra Scrittura è “Ispirata dallo Spirito Santo”. Ciò significa che questa Persona Divina è intervenuta per assicurare agli scrittori sacri di trasmettere tutto quello che serve per la salvezza spirituale dell’uomo, senza errori spirituali

*   lo Spirito Santo ha ricoperto Maria con la Sua potenza, facendo nascere in Lei Gesù. È la stessa Parola di Dio a rivelarcelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio”.  Dio Padre manda Suo Figlio, che si incarna. La forza che lo fa incarnare è lo Spirito Santo

Gesù è ripieno di Spirito Santo fin dal Battesimo di Giovanni, afferma che la Sua missione si basa sul fatto che “Lo Spirito del Signore è su di me, e mi ha mandato…”, dona lo Spirito agli Apostoli, dunque lo ha in sé, “emette lo Spirito” al momento della Sua morte…

*   gli Apostoli ricevono lo Spirito, e solo così sono in grado di vivere la loro missione. Neppure la Resurrezione di Gesù ha cambiato radicalmente i Suoi Apostoli. Dopo di essa credono, ma non hanno ancora la forza ed il coraggio di affrontare le persone cui devono portare il Suo messaggio così difficile e soprannaturale. Solo lo Spirito Santo causerà in loro  questa metamorfosi

*   la Chiesa nasce il giorno di Pentecoste. E questa loro cambiamento segna anche l’inizio della Chiesa, perché solo con lo Spirito Santo che li conferma nella speranza e nell’amore,  si dà inizio all’annuncio della fede (Kerigma) e alla vita sacramentale della comunità (Battesimo, Eucaristia, ecc.)

tutti i fedeli sono abilitati a vivere la fede cristiana, la Parola di Gesù e soprattutto il comandamento nuovo dell’amore, dallo Spirito Santo.  Noi abbiamo la verità da Gesù (“Io sono la via, la verità e la vita”  Gv. 14,6), ma conoscere la verità non basta per viverla (questo lo dicono gli gnostici, ma contro ogni esperienza umana); per vivere ci vuole la forza del cuore che decide di attuare quello che la menta comprende come verità. E questa forza ce la dona lo Spirito Santo.

 

 

12 gennaio

Credo la Chiesa...

 

Numeri 147 - 160  del Catechismo della Chiesa Cattolica

 

Cambio di terminologia nel Credo (Creso “in” – Credo “il/la”)

Nella Professione di fede Nicena-Costantinopolitana, nella traduzione italiana, non nel testo greco originale,  c’è un’interessante cambiamento di terminologia tra la prima e la seconda parte.

§         Nella prima, dove si parla delle tre persone della Trinità, si dice: Credo IN un solo Dio… Credo IN Gesù Cristo… Credo NELLO Spirito Santo

§         Nella seconda, dove si parla di realtà complementari, oggetto della rivelazione di Dio, si dice: Credo LA Chiesa… UN solo Battesimo…

Oggetto primario della nostra fede è Dio, oggetto secondario sono le Sue rivelazioni, e questa terminologia diversa ce lo insegna.

 

La Chiesa nella Parola di Dio

La prima “rivelazione complementare” che il Credo ci ricorda è la comunità della Chiesa.

I Vangeli non ci raccontano una istituzione ufficiale e giuridica della Chiesa; semplicemente la presuppongono, come comunità viva di discepoli, radunati intorno a Gesù presente nella Parola e nell’Eucaristia, insieme agli Apostoli, testimoni prescelti da Gesù stesso.

La predicazione del Regno di Dio e l’effusione dello Spirito sono allo stesso tempo realtà storiche ed escatologiche (che riguardano la fine dei tempi): fatti realmente accaduti, che dicono relazione alla meta dell’umanità che cammina verso l’incontro definitivo con la Trinità. Perché questa meta sia raggiunta, serve uno strumento vivo ed efficace nel tempo; e questa è la Chiesa.   Per questo Gesù chiama e prepara i Suoi Apostoli, e per questo lo Spirito Santo li rafforza.

La Chiesa è Sacramento (= manifestazione nel mondo dell’amore Trinitario), perciò si capiscono i simboli che la descrivono (Sposa che partecipa alla vita dello Sposo; luogo della comunione con Cristo nello Spirito…)

 

La Chiesa secondo il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium)

Il Concilio Vaticano II ha dato una svolta notevole all’ecclesiologia, aiutandoci a vedere la Chiesa alla luce della Parola di Dio, superando le idee nate nel tempo del potere temporale, che identificava la Chiesa ad una corte imperiale.

Ci presenta perciò la chiesa come “Sacramento di Cristo”, cioè manifestazione della Sua salvezza, che vive grazie alla presenza dio Gesù in essa, ed alla forza dello Spirito Santo.

Sottolinea la Chiesa come “Corpo di Cristo” (1 Cor. 12), realtà al contempo visibile e spirituale.

Imposta però soprattutto la teologia sulla Chiesa sulla categoria di “Popolosi Dio”, per far capire che in questo popolo tutti sono chiamati alla stessa santità.  Spiega perciò il sacerdozio comune dei fedeli (tutti chiamati ad offrire se stessi a Dio – non serve una mediazione umana) ed i carismi che hanno tutti i fedeli.  Anzi, parla dell’universalità di questo popolo, che riguarda i cristiani cattolici, uniti nella fede in Cristo ai cristiani non cattolici, ed uniti nella fede in Dio ai non cristiani.  Questa apertura non deve diminuire lo spirito missionario della Chiesa, anzi, deve avere la gioia di portare tutti in “un solo gregge sotto un solo pastore” (Gv. 10,16).

In questa comunità presenta le diverse vocazioni (gerarchia, presbiteri, laici, religiosi), dando molto spazio alla chiamata universale alla santità, che si manifesta nella vita secondo la parola di Dio e nell’attesa della Parusia verso cui tutti camminiamo, seguendo Maria, modello della Chiesa.

 

Chiesa, “Corpo di Cristo”

La prima definizione di Chiesa è “Corpo di Cristo”. Si basa sul 1 Cor 12,12-27 (Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo…  Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte). Per Paolo “Corpo” ha sempre un significato concreto, dunque come Cristo è realmente presente nella Resurrezione, come è realmente presente nell’Eucaristia, così è realmente presente nella Chiesa.  Chiamando la Chiesa “Corpo” Paolo ci parla di una “pienezza di Cristo” che va oltre la Sua realtà fisica, e che diventa realtà universale, che raccoglie tutti gli uomini. Conseguenze della fede nella Chiesa-Corpo di Cristo sono:

§         la Comunione dei Santi (di cui parleremo in un prossimo incontro)

§         la coscienza dei propri limiti umani, e dunque di un continuo bisogno di conversione

§         la chiarificazione del rapporto tra ministeri e carismi. Per capirla partiamo dall’affermazione di Ef. 2,20 (edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù). La Chiesa è edificata sugli Apostoli (= ministero) e sui Profeti (= carismi).Perciò ministeri e carismi sono due elementi costitutivi della Chiesa, con un continuo rapporto reciproco di collaborazione per l’unico bene comune delle persone, che non esclude qualche tensione, perché i carismi correggono i ministeri quando seguono più le leggi del mondo che di Dio; i ministeri sorvegliano i carismi perché non diventino un segno esaltato e morboso (sempre con equilibrio come chiede 1Tess. 5,19-21: Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono)

 

Chiesa, “popolo di Dio”

La seconda definizione di Chiesa è “Popolo di Dio”.  E’ quello più usato dal Concilio Vaticano II. Mostra la Chiesa come continuazione del Popolo dell’Alleanza, che si apre al Signore incontrandolo nei Sacramenti e che lo attende nella Parusia.

In quanto popolo di Dio, la Chiesa è una società che

§         ha alcune caratteristiche: è autosufficiente; è gerarchica (non democratica); è spirituale (Cristo è il Suo capo)

§         ha rapporti con altre società, soprattutto con lo Stato. Questo rapporto è stato sempre dialettico, perché ambedue agiscono sulle stesse persone, cercandone il bene materiale (Stato) o spirituale (Chiesa). dal Nuovo Testamento risulta che la Chiesa accetta l’autorità dello Stato come proveniente da Dio, ma rifiuta una totale sovranità, come se fosse l’autorità suprema. La Chiesa oggi

o        afferma la laicità dello Stato, che ha il potere di fare leggi secondo la volontà della maggioranza della popolazione

o        si riconosce sempre però il diritto di parlare dei valori divini di cui è convinta; di educare i fedeli a questo (anche in contrasto con le idee propugnate dallo Stato); di chiedere ai propri fedeli di saper scegliere Dio quando (e solo quando) c’è un contrasto tra la proposta divina (non una legge umana della Chiesa) e quella della propria parte politica

o        proclama la libertà religiosa anche per le altre religioni (non vuole una Chiesa cristiana di Stato che opprima i fedeli di altre fedi)

La Chiesa ha un rapporto particolare col Regno di Dio, in quanto è lo strumento privilegiato per entravi a far parte e per rimanere in esso.

Nel rapporto con le altre confessioni religiose, il Concilio usa questo termine: “la Chiesa di Cristo sussiste “subsistit in” nella Chiesa Cattolica, pur essendoci nelle altre confessioni cristiane molti elementi di verità e di santificazione.

Nel rapporto con le persone che non sono cristiane, ha uno spiccato spirito missionario, che non nega la possibilità di salvezza per chi vive coerentemente fuori della Chiesa stessa, ma che indica la propria gioia di portare a tutti il messaggio di amore di Cristo

 

 

26 gennaio

 ...una, santa, cattolica e apostolica

 

Numeri 161 - 176    del Catechismo della Chiesa Cattolica

 

Significato di “Chiesa una”

Delle quattro caratteristiche della Chiesa che proclamiamo di credere solo una è reale; le altre tre sono speranza, mete di un cammino… però, essendo state così istituite da Gesù, le consideriamo oggetto di fede.

La Chiesa è “una” nell’istituzione di Gesù (“E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore”Gv. 10,16), ma purtroppo non lo è nella realtà.

Non sono mai mancati elementi di contrasto, dottrinali e pratici, già nelle primissime comunità (come testimoniano gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di San Paolo). Le prime divisioni tra cristiani, i cui effetti durano ancora oggi, hanno avuto inizio circa quattrocento anni dopo la morte di Gesù, intorno alle questioni di fondo sulla sua natura, come vero Dio e vero uomo. In particolare alcune Chiese, la siro-orientale e la copta rifiutarono la definizione che fu data durante il Concilio di Calcedonia, nell'anno 451, secondo il quale la natura divina e la natura umana di Gesù sono unite «senza confusione e senza separazione».

Le fratture più profonde in venti secoli di storia della Chiesa sono state:

quella tra Chiesa di Costantinopoli e Chiesa di Roma nel 1054. Tra Roma e Costantinopoli infatti c'è sempre stato antagonismo politico. Nel 1053 il Papa fece una spedizione contro i Normanni in Italia meridionale. Questi erano protetti da Costantinopoli, e ciò diede al patriarca Michele Cerulario occasione per scomunicare il Papa. Questi (Leone IX) mandò un legato (Card. Umberto da Silva Candida), piuttosto rozzo ed ignorante, che con durezza rovinò definitivamente i rap­porti, scomunicando a sua volta il Patriarca. (N.B. Queste scomuniche erano per le singole persone, non per le chiese).

La frattura divenne totale dopo le crociate, soprattutto la quarta, che portò al sac­cheggio di Costantinopoli (1204), e che mai arrivò a Gerusalemme. Ciò fece conside­rare Roma come responsabile di tutta questa divisione.

I punti di divisione tra le due chiese non sono insormontabili:

§         Primato: mentre la Chiesa Cattolica vede nel Papa "Pietro continuato", e negli Ve­scovi i successori degli Apostoli, quella Ortodossa vede l'importanza dei singoli Apo­stoli, senza negare che Pietro avesse un primato, ma negando che questo primato sia assoluto: ogni Vescovo è indipendente. La Chiesa è fondata sull'Eucaristia, che non è fatta da una singola comunità, ma dalla singola comunità sempre a nome della Chiesa. Questa concezione porta l'Ortodossia a sottolineare di più la singola Chiesa, unita spiritualmente e teologicamente con le altre, che la Chiesa universale, manifestata nelle singole Chiese locali.  La differenza è più di sottolineatura che di teologia.

§         Filioque: E' l'unico problema veramente teologico di divisione. Il Concilio di Costantinopoli aveva detto "Qui ex Patre procedit", per insegnare la di­vinità dello Spirito. Già dal V secolo in Occidente si è aggiunto il "Filioque" per indi­care che lo Spirito è amore che unisce Padre e Figlio. Sono due punti di partenza di­versi: se si guarda alle persone divine, dobbiamo dire che lo Spirito procede dal Padre, come il Figlio è generato dal Padre (monarchia divina); se guardiamo alle relazioni interne, dobbiamo dire che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio che si amano.  La soluzione non sarà in una delle due formule, ma nel comprendere che ciascuno inten­de la stessa cosa, vista in modo diverso.

§         "Chiese uniate" e proselitismo: nei paesi nei quali la maggioranza è Ortodossa, ci sono dei gruppi di cristiani rimasti uniti a Roma, che hanno riti e leggi propri: sono chiamati "Uniati". Per loro il Papa nomina dei Vescovi, e questa scelta spesso è vista dagli Ortodossi come opposizione di Vescovo contro Vescovo. C'è poi la paura che questi cattolici orientali facciano proselitismo tra gli Ortodossi.

 

Quella tra la chiesa di Roma e le Chiese Riformate (Protestantesimo)

I Protestanti dicono di essere il proseguimento delle varie forme di contestazione nella Chiesa (da S. Paolo contro S. Pietro, sul tema della diffusione della predicazione anche tra i pagani).  Lutero ha scritto e pubblicato le sue 95 tesi il 31 ottobre 1517, prendendo posizione contro le indulgenze tariffate. La scomunica di cui è stato oggetto lo ha spinto ad allontanarsi dalla chiesa ed a fondare un gruppo che poi si è diffuso soprattutto nel nord Europa.  La sua dottrina sulla libera interpretazione della Parola di Dio ha portato ad una frammentazione del protestantesimo. Tra i principali fondatori di gruppi protestanti c’è Calvino, che è la versione francese e svizzera del luteranesimo.

Le loro principali dottrine sono:

§         “Sola Scriptura”: Nei secoli del potere pontificio, si era sviluppata l’idea dell’unità della fede come presidio dell’unità dello stato. Ogni forma di contestazione, di riflessione critica sulla fede, era vista come un pericolo, e condannata. Per evitare questi problemi, col tempo si è proibita ai laici la lettura della Sacra Scrittura, riservata al clero, che poi la spiegava durante le celebrazioni.  Per reazione a questa situazione, Lutero riportò la Bibbia al centro della sua predicazione e della sua dottrina. La Parola di Dio era vista come l’unica fonte di verità, senza cercare nella Tradizione della Chiesa dei sostegni alla sua comprensione.  Ogni credente ha lo Spirito Santo che lo illumina e gli permette di capire la Bibbia come gli serve nella sua vita.

§         Salvezza per mezzo della fede: tutta la struttura ecclesiale luterana si basa su questa convinzione, che Dio salava non attraverso le opere, ma solo per la fede, come dice la lettera ai Romani.  Lutero porta questa affermazione alle estreme conseguenze, negando l’utilità della Chiesa e dei Sacramenti, eccetto il Battesimo (che mi fa entrare nella fede) e l’Eucaristia (semplice ricordo di quanto ha fatto Gesù).

§         Sacerdozio universale: altra conseguenza è la negazione del presbiterato ed Episcopato, e la sottolineatura del sacerdozio universale, per cui non ci sono persone con ruoli particolari, se non quello culturale di aver studiato meglio la Parola e di saperla spiegare meglio (i pastori, sia uomini che donne)

È importante per la Chiesa oggi acquisire un atteggiamento ecumenico:

§         idee chiare (non è irenismo)

§         accoglienza e rispetto delle idee altrui (posso proporre, non imporre)

§         cercare ciò che unisce prima e più di ciò che divide

§         non parlare o agire emotivamente (per esempio per la rabbia per aver ricevuto un insulto), ma solo razionalmente e con calma

 

Significato di “Chiesa santa”

La parola santità nel Nuovo Testamento significa l’imitazione di Cristo, il solo vero “Santo”. Tutti i battezzati sono chiamati a questa santità, ciascuno seguendo la propria vocazione. È possibile raggiungere questa perfezione perché Lui è con noi (la Sua Parola e la Sua presenza in noi nei Sacramenti ne sono la garanzia).

La Chiesa è Santa perché il suo Capo (Cristo) è Santo, la sua meta è la santità (Gesù l’ha istituita per questo scopo, per testimoniare a tutti come si può imitare il Suo esempio) e perché è una “comunione di Santi”.

Nella Chiesa si venerano i Santi, cioè quelle persone che hanno vissuto quell’imitazione di Cristo in modo da essere di esempio per tutti.  Tra i Santi il primo posto nella venerazione della Chiesa lo hanno Maria, gli Apostoli ed i martiri.

 

Significato di “Chiesa cattolica”

Il termine cattolico Etimologicamente viene dal greco καθολικός, che significa propriamente "completo", "tutto insieme".  (Non ha un significato di contrapposizione con le altre chiese cristiane!)

È il desiderio di Gesù che tutti gli uomini lo accolgano (“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”. Mt. 28,19).  Oggi purtroppo non è una realtà, ma è il desiderio di ogni cristiano, che prega “Venga il Tuo Regno” Mt. 6,10) e che lavora come missionario della Parola di Cristo.

 

Significato di “Chiesa apostolica”

E’ l’0unica caratteristica reale, e non solo oggetto di speranza.

Apostolo nel Nuovo Testamento ha il significato di “Ambasciatore”. La sua autorità si basa sull’autorità di chi lo manda.

Ci sono gli Apostoli chiamati da Gesù, mandati da Lui in modo temporaneo a predicare davanti a Lui (Cfr. Mt,10,10) missione che diventa definitiva dopo la Pentecoste. Per queste persone è costitutivo l’essere testimoni dal Battesimo di Giovanni  alla Resurrezione (cfr. Atti ). Ci sono poi gli Apostoli chiamati dagli Apostoli di Gesù (cfr. ) e poi ci saranno quelli chiamati dai loro successori, per continuare la predicazione della Buona notizia. Questa infatti è la condizione di fondo per essere apostolo nella Chiesa.

La Chiesa è Apostolica perché si basa sulla fede degli Apostoli, in  quanto quello che noi crediamo è tutto trasmesso da loro, e perché ha l’Episcopato trasmesso da persone chiamate da successori degli Apostoli (la “successione apostolica” è condizione indispensabile perché il Sacramento dell’Ordine sia valido).

 

09 febbraio

 

Credo la Chiesa …

(I fedeli: gerarchia, laici, vita consacrata)

 

numeri 177 - 193  del Catechismo della Chiesa Cattolica

Le vocazioni nella Chiesa

Per molto tempo la Chiesa è stata presentata come una piramide, nella quale il vertice è il Papa, poi ci sono i Vescovi, poi i Preti, poi i Frati e le Suore, ed in basso, alla base, i laici. È una visione umana, basata sulla “Corte regale” (Re, nobili, cavalieri, plebe).  Gesù non l’ha istituita così, e non ci chiama a vederla in quel modo: per Lui la Chiesa è un insieme di vocazioni, cioè di persone tutte chiamate alla stessa meta (santità), alla stessa impostazione di vita (osservanza del Comandamento Nuovo dell’amore), ma ciascuna in modo diverso.  Sono chiamati alla santità perciò il Papa quanto un Laico, il Prete quanto una Suora…

In questo incontro cerchiamo d capire da quali vocazioni è formata la comunità della Chiesa, premettendo solo che parleremo di “ruoli”, non di importanza né di priorità nella santità.

 

Realtà e missione dei Laici

La prima volta che si usa questo termine è nella Lettera di Clemente, dell’anno 95 d.C. in latino il termine usato era “plebeius”, che poi assumerò un significato negativo (in contrapposizione ai “nobili”), ma che originariamente significava “fedele senza incarichi particolari nella comunità”.  Nella Chiesa medievale si svilupperò il concetto di chiesa spirituale (monacale), in contrapposizione a quella interessata alle cose del mondo (laicale). Per coloro che hanno incarichi ecclesiali c’è un avvicinamento alla spiritualità monacale (per esempio celibato dei preti).

Secondo il Concilio Vaticano II la differenza tra monaci, clero e laici non è di grado né di importanza, ma di “collocazione nel mondo”. I laici perciò hanno una missione loro propria (spiegata dal Concilio oltre che nella Lumen Gentium anche nel Decreto sull’Apostolato dei Laici): è fare unità tra l’ordine temporale (le realtà del mondo) e quello spirituale (la presenza di Dio nel mondo stesso)

 

I Presbiteri e la Gerarchia (missione del Papa e dei Vescovi)

In tutte le culture esiste la figura del “Sacerdote” cioè di una persona abilitata ad essere mediatore tra Dio e l’uomo, capace di offrirgli sacrifici. Nel Nuovo Testamento c’è un solo Sacerdote (Gesù), e tutti i Battezzati partecipano di questa Sua caratteristica. Le persone che hanno il Sacramenti dell’ordine non sono da vedere nella categoria sociologica di “Sacerdoti”, ma sono “Presbiteri”.

In questo gruppo di persone ce ne sono alcune che hanno una caratteristica particolare, sono i Vescovi ed il Papa, che sono la “Gerarchia della Chiesa”, cioè il Magistero. Gerarchia (dal greco iera arch (ierà arké = sacra origine) significa che è un potere che deriva da Dio. La Chiesa è, per istituzione divina, gerarchica, basata cioè su un Sacramento (l’Ordine), che rende rappresentanti di Cristo Capo e Pastore della Chiesa. questa gerarchia ha dei gradi di diritto divino (Diacono – Presbitero – Vescovo – Papa) ed altri di diritto ecclesiastico (Arcivescovo, Cardinale…). Nella storia della Chiesa c’è sempre stato il pericolo per la gerarchia di non essere rappresentante di “Cristo-servo”, ma di adeguarsi al potere visto in modo umano.

L’Episcopato è l’insieme dei successori degli Apostoli a servizio della comunità per insegnare (il Magistero, cioè il potere di trasmettere la Parola di Dio in modo sicuro, senza che sia interpretata. Il singolo Vescovo non è Magistero. Lo sono tutti i Vescovi insieme, uniti al Papa); per santificare attraverso i Sacramenti; per guidare la comunità a vivere secondo la Parola. Per vivere il loro ministero, i Vescovi hanno bisogno dello Spirito Santo, che ricevono nel Sacramento dell’Ordine.

Il Papato non è un Sacramento (il Papa è un Vescovo come gli altri), ma è comunque di istituzione divina, perché così emerge dal Vangelo. Mt. 16,13-19  Lc. 22,31-32  Gv. 21,15-17) Nei primi secoli la Chiesa di Roma è vista con una responsabilità sulle altre Chiese locali. Papa Clemente infatti scrive alla Chiesa di Corinto; Ignazio di Antiochia chiama la Chiesa di Roma “presidente nell’amore” (Lettera ai Romani 1). Ireneo (Adv. Haer. III 3,3) dice che “Con la Chiesa di Roma devono concordare tutte le altre chiese locali”. Per Cipriano il rapporto con la Chiesa di Roma determina l’unità di tutte le Chiese.   La potestà di Pietro su tutte le Chiese è di tipo pastorale, e riguarda: la fede (anche in modo infallibile), l’unità (gli altri Vescovi sono “Magistero” solo se uniti al Papa) e le indicazioni morali (come predicazione autorevole, non però in modo infallibile).  Il rapporto con i Vescovi non annulla il loro potere in Diocesi, ma è solo a servizio dell’unità. Il Concilio Vaticano II spiega ciò con il concetto di “Collegialità dei Vescovi”. Il Collegio dei Vescovi unito al Papa ha gli stessi poteri del Papa da solo (è suprema autorità, è infallibile se parla di fede e dichiara la propria infallibilità…)

 

Rapporto tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale

La differenza tra i due è di natura, non di grado (se no sarebbero uno più importante dell'altro)

§         Quello comune è comune a tutti, e si esercita sempre

§         Quello ministeriale è solo di qualcuno, e lo si esercita in qualche occasione.

Rapporto tra i due:

§         quello ministeriale è superiore perché

o        condiziona l'esercizio di quello comune

o        è più specificamente sacerdotale (mediazione)

§         inferiore perché

o        è al servizio di quello comune

o        meno realmente sacerdotale (è manifestazione, non realtà)

 

Rapporto tra Magistero e Fedeli, secondo la Lumen Gentium n. 37

Il Magistero deve:

§         promuovere la dignità dei laici

§         assicurare ai laici la libertà in tutte le realtà non di fede

§         ricercare la fattiva collaborazione nella pastorale e nella missione

I fedeli devono:

§         aiutare con la propria competenza culturale e professionale.

§         offrire la propria adesione quando il Magistero parla di realtà di fede.      

 

Realtà e missione dei Consacrati

Nel corso dei secoli si sono sviluppate esperienze comunitarie, soprattutto configurate in

* monachesimo: nati in oriente soprattutto con l’eremitismo, ed in occidente con la Regola benedettina, si svilupparono in un momento di crisi (VIII - XII secolo) come tentativo di instaurare un particolare e più intimo legame con Dio

* ordini mendicanti: nati durante la riforma del XII sec. si caratterizzano nelle loro diversità per la ricerca di attualizzare il messaggio cristiano nella società, tra questi i carmelitani, i francescani e i domenicani

* congregazioni religiose: nate soprattutto nel XIX e XX secolo, sono attente ai bisogni dell’epoca: i giovani, gli anziani e altre categorie sociali svantaggiate. Tra esse spiccano le comunità missionarie, con lo scopo di diffondere la fede cattolica in tutto il mondo.

La vita Religiosa ha lo scopo di dimostrare con l’esempio di una vita vissuta in povertà, castità ed obbedienza che si può vivere solo per Dio.

 

 

23 febbraio

 

Credo la comunione dei santi - La devozione ai Santi ed a Maria

 

numeri 194 - 199 del Catechismo della Chiesa Cattolica

Significato di “Comunione dei Santi” e suoi influssi sulla vita dei cristiani

L’Antico Testamento non parla di “comunione con Dio”, mente il termine è presente nella filosofia greca (comunione di idee e comunione con gli dei). Giovanni e Paolo prendono questo termine dando però un senso nuovo: il Padre manda Gesù perché diventi uomo come noi, dunque la nostra comunione con Lui parte dalla Sua Incarnazione. Lo Spirito Santo è comunione tra il Padre ed il Figlio, ed essendo mandato a noi è fonte della nostra comunione con la Trinità. Solo come conseguenza c’è la comunione tra le persone che sono con la Trinità nel Battesimo. Essendo parte dell’unico corpo di Cristo che è la Chiesa («Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito»     1 Cor. 12,12-13) tutti i cristiani vivono questa profonda comunione tra di loro, che è fonte di trasmissione di grazia (o di mancanza di grazia) tra le varie persone viventi, ma tocca anche i Battezzati che sono con Dio in Paradiso (intercessione dei Santi) e il suffragio per quelli che sono nello stato di purificazione

 

Devozione a Maria, e sue origini Bibliche

La teologia medievale chiama la venerazione a Maria “iperdulia” per distinguerla dall’Adorazione (data solo a Dio-Trinità) e dalla “dulia” cioè venerazione di tutti i santi, perché Maria ha un ruolo unico nella storia della salvezza. L’intercessione di Maria è simile a quella di tutti i santi, ma con un’intensità ed una universalità maggiore. L’intercessione si basa sulla riflessione che una persona vicina a Dio è inserita nel Suo amore, ed è anche vicina a noi nella fraternità umana.  Basandoci sulla Comunione dei Santi possiamo perciò comprendere come questo duplice rapporto rende possibile l’intercessione.  Nella storia c isono stati degli eccessi che hanno presentato Maria quasi come una divinità-madre. Il concilio nega questa visione, e chiama all’equilibrio, così come l’Esortazione Apostolica del Papa Paolo VI 1974 che dà queste indicazioni: esso deve attingere il più possibile alle Sacre Scritture, va collocato nel ciclo annuale delle liturgie ecclesiastiche, ha un orientamento ecumenico (volto cioè a promuovere l'unità dei cristiani), e guarda a Maria come a un modello di vergine, di madre e di sposa.

Riguardo alle apparizioni di Maria il problema di fondo è nell’autenticità (attendere il riconoscimento della Chiesa). Anche in apparizione riconosciute c’è libertà di credere o meno, perché la nostra fede si basa sulla rivelazione e non sulle rivelazioni provate. Sono solo un aiuto alla nostra fede, se lo vogliamo accogliere.

 

Devozione ai Santi

“Santo” significa una persona che ha vissuto in modo ”eroico” l’imitazione di Cristo, che il Papa ha, nella sua infallibilità, assicurato che è in paradiso, e dunque può essere nostro modello.

Il culto dei santi è da vivere con equilibrio.

Da una parte lo accettiamo, perché fa parte del patrimonio della Chiesa. significa mettere queste figure come modello per noi, e vederli come intercessori (nel senso evangelico di Filippo ed Andrea che presentano a Gesù i greci che gli vogliono parlare. Gv. 12,22) .

Dall’altra si devono evitare abusi di esaltazione. Gesù è l’unico mediatore tra Dio ed l’uomo, dunque, se si ha più fiducia, più devozione per un santo che per Gesù, si è fuori dalla pura fede cristiana.

 

 

9 marzo

Credo la remissione dei peccati - Il perdono ricevuto e donato

 

numeri 200 - 201 del Catechismo della Chiesa Cattolica

200. Come si rimettono i peccati?

Il primo e principale sacramento per il perdono dei peccati è il Battesimo. Per i peccati commessi dopo il Battesimo, Cristo ha istituito il Sacramento della Riconciliazione o Penitenza, per mezzo del quale il battezzato è riconciliato con Dio e con la Chiesa.

201. Perché la Chiesa ha il potere di perdonare i peccati?

La Chiesa ha la missione e il potere di perdonare i peccati, perché Cristo stesso glielo ha conferito: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23).

 

Significato del perdono dei peccati nell‘Antico Testamento

*   L’Antico Testamento parla spesso di peccato (ciò che contrasta la legge) (vedi per es.: Es. 32,30 Il giorno dopo Mosè disse al popolo: «Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il perdono della vostra colpa», oppure Neem. 1,5 E dissi: «Signore, Dio del cielo, Dio grande e tremendo, che mantieni l'alleanza e la misericordia con quelli che ti amano e osservano i tuoi comandi)

Dio si presenta però misericordioso, volenteroso di perdono, come in Es. 33,19 «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia», oppure Sal. 135,1 Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la sua misericordia.

*   E propone dei gesti di perdono: il principale è il capro espiatorio. Lev. 16,10 Invece il capro che è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti al Signore, perché si compia il rito espiatorio su di lui e sia mandato poi ad Azazel nel deserto.

*   Fin dall’inizio della teologia Ebraica il peccato è visto come causa di male fisico (malattia e soprattutto morte)  (Vedi per es.: Es. 10,17 Ma ora perdonate il mio peccato anche questa volta e pregate il Signore vostro Dio perché almeno allontani da me questa morte!».  Es. 34,7 che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione»)

*  Al tempo dei Re questo concetto era molto presente, e riguardava sia la vita del singolo (l’esempio più bello è quello di Davide: 2Sam. 12,13 Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai. 12,14 Tuttavia, poiché in questa cosa tu hai insultato il Signore (l'insulto sia sui nemici suoi), il figlio che ti è nato dovrà morire»)

 *  Sia del popolo intero: (1Re 13,34 Tale condotta costituì, per la casa di Geroboamo, il peccato che ne provocò la distruzione e lo sterminio dalla terra)

*   Il punto più alto della riflessione di Israele su questo argomento è il libro di Giobbe: Giobbe sa di non aver peccato (Gb. 7,20 Se ho peccato, che cosa ti ho fatto, o custode dell'uomo? Perché m'hai preso a bersaglio e ti son diventato di peso?) ma non capisce perché la sofferenza si accanisce su di lui.  Dio gli conferma che non ha peccato, però non si riesce a dare una spiegazione ed una speranza)

I Profeti ed i Salmi presentano Dio misericordioso, che vuole perdonare i peccati più che punirli (Sal 38:12 Castigando il suo peccato tu correggi l'uomo, corrodi come tarlo i suoi tesori.  Mic. 7,18 Qual dio è come te, che toglie l'iniquità e perdona il peccato al resto della sua eredità; che non serba per sempre l'ira, ma si compiace d'usar misericordia?), ma nella mentalità popolare rimane il concetto della remunerazione su questa terra, cioè la sofferenza e la morte punizione per i peccati)

Solo Gesù cambierà definitivamente questa prospettiva, per cui il peccato assume solo più una valenza spirituale (Gv. 8,34 Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato)

 

Il Giudaismo extra biblico prevede l’espulsione dalla Sinagoga (scomunica). Anche  la comunità di Qumran prevedeva una scomunica temporanea o definitiva dei membri che commettevano determinate colpe.

 

Significato del perdono dei peccati nel Nuovo Testamento

Nel Vangelo cambia la prospettiva: Dio diventa uomo per cercare i peccatori (Mt. 9,13 – Le tre parabole di Lc. 15), e per dare la Sua vita per loro (per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Gv. 10,17). Non è misericordioso solo con chi lo accoglie, ma lo è con tutti, fino alla fine, lasciando solo il rispetto alla libertà dell’uomo che decide liberamente e costantemente di essergli lontano.

Lascia ai Suoi Apostoli l’incarico di trasmettere questo Suo perdono in modo chiaro e reale (Sacramentale) (Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. Gv. 20,22-23)

E i Suoi discepoli hanno trasmesso questo Suo perdono, con un’evoluzione nel modo.

*   Nei primi secoli  sono ricordate dai Padri i cammini penitenziali, sottomessi al Vescovo, per il perdono dei peccati.  A lungo si è discusso sul perdono da concedere a tre peccati: l’apostasia (coloro che avevano abiurato durante le persecuzioni), l’omicidio e l’adulterio.  Parlano di perdono dei peccati dato dal Vescovo Papa Clemente (prima del 100), Ignazio di Antiochia (intorno al 105), il Pastore di Erma (intorno al 150), Ireneo (180) e Clemente Alessandrino (verso il 200).  Non appare chiara la forma nella quale questo perdono era concesso.  Tertulliano, nel “De poenitentia” parla dell’ingresso tra i penitenti, fare penitenze corporali pesanti, presentarsi pubblicamente vestito di sacco.  Non poteva ricevere la Comunione fino alla riconciliazione, che avveniva in un rito liturgico solenne.  All’inizio la riconciliazione si poteva avere una sola volta nella vita.

*  Tra i secoli VI ed VIII c’è una evoluzione che porta anzitutto alla reiterabilità della riconciliazione, e poi alla possibilità che a celebrarla siano i preti.  Ciò porta alla preparazione di “Libri poenitenziales”, con le “penitenze tariffate”, in modo che ci fosse uniformità nel clero, non molto colto e preparato.   Col tempo le penitenze corporali divennero sempre più riscattabili con delle offerte i denaro; nate come un andare incontro alle difficoltà di molte persone, è ovvio che divennero poi un problema culturale e morale per i confessori (per esempio chiedere delle Messe, pagate con tariffe fisse; i sacerdoti però, per avere più entrate, ne celebravano molte al giorno, tanto che venne una legge che proibiva di celebrarne più di 7).

*   Nel XIII secolo fu in vigore una triplice forma di penitenza: privata, pubblica non solenne (cioè un pellegrinaggio penitenziale), pubblica solenne (Quaresima di penitenza davanti a tutta la comunità).

*  Al tempo della Riforma di Lutero si deve fare i conti con la dottrina Protestante, che nega la Sacramentalità della Penitenza, e che il penitente possa fare degli atti tali da collaborare al perdono: per Lutero l’uomo è intrinsecamente peccatore, e solo la Grazie può salvarlo. Mancando il Sacramento dell’ordine poi, la Confessione non ha senso perché nessuno può dare questo dono in modo certo: ci si può confessare anche a un laico, che può dire le parole dell’assoluzione che semplicemente ricordano che Dio sa perdonare.

*   Il Concilio di Trento ribadisce che la Confessione è un Sacramento distinto dal Battesimo; che gli atti del penitente (accusa, pentimento, proposito) sono importanti, anche se la salvezza viene da Cristo e non dai nostri atti; che si devono confessare tutti i peccati “mortali” ma che è bene anche confessarsi per migliorare dai peccati “veniali”; che quelli mortali devono essere confessati prima di ricevere l’Eucaristia.

*   Il Concilio Vaticano II rinnova il rito del Sacramento, a livello liturgico, e chiede di rinnovarne lo spirito, sottolineando il sacerdozio comune dei fedeli (ognuno ha il suo ruolo, e non solo il ministro) e la riconciliazione anche con la Chiesa (comunione dei Santi).  Permette che il sacramento sia celebrato anche per gli Ortodossi, e viceversa, se si è impossibilitati a confessarsi nella propria chiesa.

*   Oggi vediamo quanto questo Sacramento è in crisi presso la comunità cristiana, sia per le difficoltà create dai presbiteri, non molto disponibili all’ascolto delle Confessioni, sia per l’obiettivo problema creato dal doversi riconoscere peccatori parlando dei propri limiti. Il nostro compito è riscoprire la ricchezza di questo dono divino, vivendolo come mezzo di salvezza.

 

Il “perdono ricevuto” come bisogno psicologico

Per poter vivere una vita spirituale cristiana, cioè aperta alla gioia dell’incontro col Dio diventato uomo, è necessario sentirsi accolti ed amati. Per questo bisogna sentirsi “perdonati”. Prima che una realtà spirituale, è una realtà psicologica. È il rapporto tra senso di colpa e senso del peccato:

*     senso di colpa significa:

 *      capisco di avere sbagliato

 *      ho la sensazione che questo errore è più grande delle mie forze, che io non valgo  nulla

 *      decido che non ce la farò mai a migliorare

*    senso del peccato significa:

 *        capisco di avere sbagliato

 *       ho la certezza che Gesù è venuto per salvarmi, e che il Suo amore è più grande del mio peccato

 *       decido che con Lui ce la farò a migliorare, Gli chiedo un aiuto nel Sacramento della Confessione, e non ci penso più (se non tanto quanto serve per programmare un impegno serio ed intelligente)

 

Il “perdono donato” come centro della morale cristiana

Parlando di perdono non si può tralasciare il fatto che Gesù lega il Suo perdono alla nostra scelta di perdonare i fratelli. Nella morale cristiana questa è la caratteristica centrale, quella che ci fa riconoscere come Suoi discepoli. Anzitutto ce lo dice nel “Padre Nostro” (“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” – Mt. 6,12), e nell’invito: “Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt. 5,23-24).  Poi ce lo racconta in una parabola molto chiara, quella del servo cui viene condonato il debito, e che non ne sa condonare uno enormemente più piccolo ad un suo amico (Mt. 18,23-35)

 

23 marzo

Aspetto la Resurrezione dei morti

 

numeri 202 - 206  del Catechismo della Chiesa Cattolica

 

Cambiamento di terminologia: “Credo” diventa “Aspetto”

Nella professione di fide diciamo “Credo in Dio, in Gesù, nello Spirito Santo, la Chiesa”, poi usiamo un altro termine: “professo un solo Battesimo” (lo credo e lo vivo); infine diciamo “Aspetto la Resurrezione dei morti e la vita eterna”. È il senso ultimo di tutta la nostra fede; è l’attesa gioiosa di un amico che viene per portarmi un dono, non di un nemico che viene per colpirmi e farmi soffrire. È l’attesa che diventa già presente nell’Eucaristia (…nell’attesa della Tua venuta)

 

L’antropologia biblica ed il significato di “carne – corpo”

Per evitare incomprensioni nel linguaggio, il Credo non dice "Resurrezione della carne" ma "...dei morti". Non vuole entrare perciò in dibattiti teologici, che non hanno un riscontro chiaro nella Parola di Dio.  Gesù ci assicura che tutti risorgeremo, ma non ci dice come; questo è solo un approfondimento teologico.  Premesso allora che la nostra fede è nella Resurrezione, proviamo però anche a fare un ragionamento per capire il meglio possibile il "come". E' bene chiarire il significato antropologico di “corpo” per i greci (lingua nella quale è scritto il Nuovo Testamento) e l’Ebraico (lingua nella quale Gesù parlava)

Per i greci “soma” (soma) significa la parte materiale dell’uomo, in contrapposizione a “spirito”. in Ebraico non c’ questa contrapposizione: anche lì ci sono due termini, ma con significati sempre unificanti:

“basar”: l’uomo integro, ma espresso dal punto di vista materiale

“nefesh”: l’uomo integro, ma espresso dal punto di vista spirituale

Parlando di Resurrezione, sia di Gesù che nostra, per una persona che ragiona in questa seconda antropologia significa che la persona intera, anche materialmente intesa, è viva con Dio. Questo ci diventa più semplice da accettare. Non è un problema di cellule, ma di personalità: sono “io” nella mia integralità che vivrò con Lui.

 

Come avverrà la “Resurrezione della carne”

La dottrina dell’al di là nell’Antico Testamento è in continua evoluzione. All’inizio è solo una fede nella presenza di Dio nella vita terrena dell’uomo, poi diventa fede nello Sheol (Regno delle ombre), poi nell’immortalità spirituale (definitiva nel Libro della Sapienza) infine nella Resurrezione (2 Libro dei Maccabei).

Nel Nuovo Testamento quando si parla di Resurrezione si dice “dei morti” e non “della carne” perché ci si esprime in una antropologia ebraica e non greca (è tutto l’uomo che diventa nuovo in Cristo). Gesù parla di Resurrezione presentandola con equilibrio: contro i Sadducei dice che è una realtà escatologica, e contro i Farisei afferma che non sarà un ritorno alla vita terrena. Tutti i Libri del Nuovo Testamento parlano di Resurrezione eccetto le Lettere Cattoliche. Paolo dà un inquadramento teologico al concetto: la vede come il completamento della Redenzione, iniziata nel Battesimo (morti e Risorti con Cristo), perché l’uomo rinnovato parteciperà alla realtà di Cristo Risorto. È proprio il corpo terreno che risorge, ma trasformato, come il seme “risorge” nella pianta. Né Paolo né i Sinottici parlano della Resurrezione dei non cristiani (per Paolo è un motivo kerigmatico, perché sta dando i principi della fede ai primi cristiani ancora inconsapevoli delle gioie dell’incontro definitivo con Cristo).  In Giovanni si parla invece di Resurrezione per tutti (poiché verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male. Gv. 5,28-29)

Tutta la tradizione cristiana, partendo dal Nuovo Testamento, parla di una immortalità dell'anima, seguita poi in un secondo tempo dalla resurrezione della carne.

La Chiesa cattolica afferma inoltre che Maria, per uno speciale privilegio, ottenne la resurrezione della carne subito dopo la morte, anziché dopo il Giudizio universale come tutti gli altri uomini. Anche la Chiesa ortodossa condivide questa credenza, ma non la definisce come dogma.

Cosa diversa da questa sono le resurrezioni miracolose che, secondo i Vangeli, furono operate da Gesù: quella della figlia di Giairo, quella del figlio della vedova di Naim, quella di Lazzaro. Queste persone, infatti, non entrarono in questa nuova condizione, ma furono richiamate alla loro vita precedente, e a suo tempo morirono una seconda volta.

In passato la chiesa cattolica proibiva la cremazione in quanto vedeva nell'atto di distruggere il corpo la volontà di negare la resurrezione della carne. Oggi tale divieto è stato tolto. D'altra parte, o cremato o dissolto nell'interno del sarcofago, sempre (o quasi) il corpo di un defunto scompare, e dovrà essere "ricreato" del tutto, al momento della resurrezione finale, dopo il Giudizio Universale.

 

Sua importanza nella nostra vita

La fede nella Resurrezione è fondamentale nella fede cristiana. E questo per alcuni motivi:

§         1 Cor. 15,12-14 recita: “Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede

§         Dio ci ama come un Padre, per sempre. E non ama una parte di noi (visto nell’antropologia greca: non ama solo l’anima; visto nell’antropologia ebraica: ci ama completamente anche dal punto di vista materiale). Senza la resurrezione però questa sarebbe la nostra condizione per l’eternità.

 

Schema dell'incontro del 20 aprile

Aspetto la vita eterna

 

numeri 207 - 217 del Catechismo della Chiesa Cattolica

Cosa sono il Giudizio particolare ed il Giudizio finale

Ricordiamo solo quanto detto parlando di “Cristo Giudice”: partendo dalla Parola di Dio, la fede ci presenta un duplice momento di incontro con Dio che chiamiamo “Giudizio”, partendo da una categoria umana con la quale spiega questa realtà: Dio ci mette di fronte alle nostre scelte e di fronte al Suo amore; e questa presa di coscienza rimane eterna, perché ormai siamo fuori del tempo, fuori della nostra realtà umana che può scegliere. Succede due volte, nel senso che appena lasciamo questa terra, già continuiamo a vivere con o senza Dio, a seconda delle nostre scelte. Alla fine dell’umanità tutti risorgeremo, ed anche allora ci sarà questa presa di coscienza, che riguarderà la nostra persona integra.  Questa distinzione di tempo riguarda il nostro punto di vista umano, perché nell’al di là non ci sarà successione di tempo.

 

Cosa è il Paradiso

La parola paradiso deriva dal sanscrito paradesha o "paese supremo". Nelle lingue derivate (soprattutto ebraico e greco) ha assunto il significato di ”giardino”

È interessante vedere in Senofonte questo termine usato per indicare il famoso giardino "paradiso" imperiale persiano, simbolo visibile della capacità ordinatrice (cosmetica) del sovrano, contrapposta al resto del mondo (caotico) che sfuggiva al suo dominio. Si trattava di zone di altopiano e di agricoltura pluviale recintate, con vegetazione lussureggiante, in netto contrasto con i terreni circostanti semi-aridi e abbandonati a se stessi

Nell’Antico Testamento la certezza della vita eterna beata si è manifestata solo negli ultimi libri dell'Antico Testamento. (Maccabei).

Gesù ha presupposto molto chiaramente questo insegnamento in varie parabole e discorsi:  Nel giudizio universale (Matteo 25,31-46);  al "buon ladrone" Gesù promette il regno usando questa stessa parola: "In verità ti dico: oggi sarai con me nel Paradiso" (Luca 23,39-43).

 

Cosa significa Purgatorio

La dottrina della Chiesa parte dalla Parola di Dio (discesa di Gesù agli Inferi) e dalla teologia della Chiesa primitiva, per comprendere il senso della purificazione (non luogo, non tempo determinato, non pena immaginabile…). Riflettendo sulla comunione dei Santi si è sempre parlato di preghiere di suffragio, in quanto le persone defunte, se con Dio, sono sante, perciò unite a noi nella possibilità di offrire e ricevere doni reciproci. Questo rapporto con i defunti non ha nulla a che fare con lo spiritismo (non è curiosità, ma aiuto esclusivamente spirituale); e non deve essere visto in modo magico (come pensare ad indulgenze che diminuiscano i giorni da trascorrere in Purgatorio)

 

Cosa è l’Inferno

Il luogo e la forma di pena sono immagini, mentre la realtà, come emerge dalla Parola di Dio letta superando il linguaggio apocalittico, comune quando si parla di realtà ultramondane, è la lontananza da Dio in modo eterno. Gesù parla di Inferno, la Chiesa lo ribadisce, ma di più si parla di volontà salvifica di Dio Padre, che vuole la creatura con sé. Ciò non significa che non esista l’Inferno, perché l’amore infinito di Dio si confronta comunque con la libertà assoluta che ha donato all’uomo. E l’Inferno è la più grande forma di rispetto che Dio ha per questa libertà  che ci ha dato, anche a costo di perdere un figlio, e perciò soffrire di questa mancanza per l’eternità.

Quando si parla i questa realtà così impegnativa teologicamente è bene non servirsi di immagini, e non basarsi su rivelazioni private, neppure di Santi riconosciuti tali dalla Chiesa, perché la canonizzazione riguarda le virtù della persona, non le sue idee ed i suoi scritti.

La Chiesa impegna la propria infallibilità, canonizzando un santo, nel dire che è in Paradiso. Gesù non ha mai affermato in modo inequivocabile che c’è qualcuno all’Inferno, e non lo ha mai affermato neppure la Chiesa.  Sappiamo per certo che c’è Satana, e i Suoi angeli, ma riguardo alle persone è importante credere con equilibrio che ci può essere qualcuno, ma lasciamo all’al di là la nostra conoscenza del fatto se qualcuno c’è realmente.

 

 

 

CORSO COM-UNITARIO DI BASE

 

16 ottobre

1.  L’animatore della comunità ecclesiale,

persona umanamente equilibrata e cristianamente convinta e coerente

 

Iniziamo chiarendo i termini

§         Animatore: “Chi organizza attività culturali e ricreative in comunità di vario genere, con lo scopo di favorire la conoscenza e l'affiatamento tra i vari componenti di un gruppo” (Dal dizionario italiano). È lui stesso “animato”, cioè entusiasta di quello che fa, e porta gli altri allo stesso entusiasmo (l’esempio attuale è l’animatore turistico della Valtour!). nella nostra comunità servono molti animatori, perché molte sono le persone da animare (e ciascuno non può incontrarne e tenerne vive tante), e perché molte sono le attività.

§         Comunità: significa essere “con” altre persone, in “unità”. Non è un agglomerato qualunque (le persone che sono sullo stesso Bus non sono “comunità”) ma un insieme che deve formare coscientemente e volontariamente una unità. Prevede da parte di tutti i membri

o        la gioia di essere insieme

o        la volontà di non nuocersi vicendevolmente (pettegolezzo, critiche, lamentele esasperanti…)

o        la volontà di aiutarsi reciprocamente (interesse per i problemi dell’altro, vicinanza nei momenti gioiosi o tristi della sua vita, accoglienza reciproca…)

§         Ecclesiale: è una comunità che ha un interesse specifico, quello di essere “chiesa” cioè comunità che si raduna intorno a Cristo, come dice la Lumen Gentium 9, con

o        una stessa condizione: la dignità e la libertà dei figli di Dio

o        una stessa legge: il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati

o        uno stesso fine: il regno di Dio

§         umanamente equilibrato: ognuno ha il proprio carattere. Ciò che è da tenere sotto controllo non è il carattere in quanto tale, ma i picchi che portano alcuni aspetti del nostro comportamento fuori dell’ordinario, e soprattutto fuori del sopportabile da parte degli altri. Per esempio si può essere

o        introversi e timidi, ma senza diventare orsi al punto da essere intrattabili

o        attenti ai propri diritti, ma non tanto da vivere in continua ansia di essere aggrediti, trattati male, messi da parte, non valorizzati…

o        desiderosi di mettersi al centro dell’attenzione, ma non tanto da monopolizzare il dialogo, e non permettere agli altri di esprimersi

o        legati ad un’idea (politica, sportiva… ) ma non tanto da metterla sempre in ogni discorso, discriminando chi non è interessato a quell’idea o ne ha una diversa

§         cristianamente convinto: un cristiano maturo è colui che ha fatto una scelta radicale di vita a favore di Cristo. Ciò prevede una convinzione che nasce dalla riflessione razionale, prima, dalla meditazione sulla Sua Parola poi, ed infine da una scelta di fede che risulta tanto più incrollabile quanto più i punti precedenti sono saldi

§         cristianamente coerente: la convinzione diventa di sua natura coerenza, perché la persona matura sa di essere libera nelle scelte di fondo, ma non nelle conseguenze, in quanto queste sono logiche, e non averle è un atto di immaturità. La coerenza non esclude le mancanze dovute alla debolezza umana o al carattere, ma prevede di togliere quelle dovute a mancanza di scelte o mancanza di ragionamento.

 

 

25 novembre

2.  Gesù, Buon Pastore,

fonte dell’azione pastorale della comunità ecclesiale

 

All’origine ed al centro, Gesù: tutta la nostra fede e la nostra vita conseguente ha la sua origine in Gesù, Dio diventato uomo per portarci la verità si Dio e su noi stessi, e per donarci la salvezza spirituale (cioè il vero senso della vita su questa terra e la certezza di vivere con la Trinità per l’eternità).

Centro della nostra vita spirituale è la Trinità, così come Gesù ce la presenta.

Essere “animatori pastorali” significa perciò

§      avere una fede chiara (conoscenza del Vangelo, suo approfondimento con studi, partecipazione a qualche catechesi…)

§      avere una vita spirituale profonda (preghiera personale col Vangelo, partecipazione almeno settimanale all’Eucaristia, partecipazione al Sacramento della Confessione in modo periodico)

§     aver fatto una scelta morale a favore dei principi del Vangelo, tanto da testimoniarli a chi ci vede (ricordiamo che chi fa un servizio pastorale è più in vista, ed un suo errore diventa una più grave controtestimonianza)

 

Il nostro modello è il Buon Pastore: come dice il termine “animatore pastorale” ci si rifà al paragone che Gesù fa di se stesso con il “Buon Pastore” (Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Gv. 10,11-17)

Vediamo come possiamo imitare questo modello:

Il buon pastore offre la vita per le pecore: se per un presbitero significa vivere “esclusivamente” per le persone che la Provvidenza gli ha affidato, per un animatore laico significa donare realmente un po’ del proprio tempo, del proprio cuore, della propria attenzione ai fratelli della comunità. E “donare realmente” significa farlo senza cercare secondi fini (gratificazione; superamento di propri problemi personali, familiari, psicologici…; occupazione di tempo libero per non cadere in depressione…)

conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me: fare il servizio pastorale in modo “professionale”, perché sia un vero servizio e non un modo dilettantistico di rapportarsi con le persone. Chi viene in comunità vuole trovare qualcuno che lo accoglie e lo segue seriamente

diventeranno un solo gregge, un solo pastore: perché tutti possano essere attratti da Cristo, dobbiamo testimoniare la gioia di essere con Lui, e perché chi si avvicina sia entusiasmato, ci deve essere accoglienza da parte di tutti i membri della comunità.

 

Solo uniti a Lui hanno senso le iniziative comunitarie: la comunità ecclesiale non è anzitutto il luogo delle attività, ma dell’incontro con Cristo. Per animare le persone in modo che siano spinte a conoscerlo meglio, incontrarlo con più gioia, sentire di più lo spirito di appartenenza alla Chiesa… servono anche delle attività, che hanno senso solo dopo che si sia chiarito che alla base c’è la nostra vita spirituale (se facciamo delle belle iniziative, ma Cristo non è al centro della nostra vita personale e comunitaria, non siamo una comunità ecclesiale ma un gruppo di amici qualunque).  Le iniziative servono allora per raggiungere quella meta, e tutte devono avere quella finalità. Possono essere attività di evangelizzazione, di catechesi, di liturgia e spiritualità, di carità, di cultura ed aggregazione… tutte però indirizzate alla formazione di persone innamorate di Gesù.

 

16 dicembre

3. La dimensione profetica del sacerdozio Battesimale

(partecipazione alle caratteristiche di Gesù Buon Pastore – il kerigma)

 

Le tre dimensioni della partecipazione a Cristo: profetica, sacerdotale, regale: più volte il Nuovo Testamento parla di questa triplice partecipazione al mistero di Cristo da parte di tutti i Battezzati (per esempio 1Pt. 2,9 Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose). Sono termini mutuati dall’Antico Testamento, che ci dicono che tutti siamo chiamati a proclamare la Parola del Signore (profeti), ad offrire la nostra vita al Lui (sacerdoti), a servire come Lui ha insegnato (re).

Siamo tutti Sacerdoti in Cristo: Il sacerdozio nel cristianesimo è solo di Cristo.  Vi si partecipa col Battesimo (Sacerdozio comune dei fedeli) e con il Sacramento dell’Ordine (Sacerdozio Ministeriale).  Tra queste due partecipazione dell’unico sacerdozio di Cristo c’è un rapporto ben chiaro nella Parola di Dio e nella Teologia:

*   Sacerdozio comune: ogni battezzato partecipa al sacerdozio di Cristo. Questo è un vero sacerdozio, perché abilita all'offerta di se stessi a Dio. L'uomo, dopo che Cristo si è incarnato, non ha più bisogno di mediatori per raggiungere Dio. Il sacerdozio comune si esercita sempre, perché si è sempre inseriti in Cristo.

Sacerdozio ministeriale: con il sacramento dell'Ordine si partecipa anche in un modo diverso al sacerdozio di Cristo. Non è un vero sacerdozio, ma solo la rappresentazione terrena del Suo. E' un servizio perché tutti possano avere la Parola ed i Sacramenti. Il sacerdozio ministeriale non si esercita sempre, ma solo quando si fa un'azione di servizio specifica.

Cosa è il “Kerigma”?: questa parola greca significa “primo annuncio”, ed è la sintesi della fede proclamata a chi ancora non la conosce. È il primo passo di ogni realtà cristiana, perché ogni persona prima deve essere messa in condizione di conoscere e di scegliere, per poi seguire Cristo.

Quali le caratteristiche di una comunità “Kerigmatica”?: ogni comunità cristiana perciò deve essere Kerigmatica.  Vediamo come:

*   evitando ogni controtestimonianza:

*   dando una vera testimonianza di gioia nella vita cristiana:

*   invitando in modo tale che l’invito sia accolto, avendo noi stessi le idee chiare:

o   evitare di parlare di Sacramenti, ma prima del cammino di fede: se insistiamo con amici o parenti perché si sposino in Chiesa, perché battezzino un figlio o gli facciano fare la Prima Comunione, diamo l’idea di una fede limitata al “fare dei gesti”. Se capita, possiamo invitare a fare un vero cammino di fede, che porti ad una scelta per Cristo, e poi, solo come conseguenza, ai Sacramenti

o   evitare di parlare, insieme alla fede, di altri aspetti che sono idee personali e che possono discriminare (idee politiche, sociali…): il pericolo di accomunare sullo stesso piano le proposte di Gesù e le nostre idee personali è un ostacolo per molte persone. l’esempio più chiaro sono le idee politiche: ogni persona è giusto che abbia la propria, e ne può anche parlare. Se si sta parlando di Cristo, non è giusto però mischiarlo con le nostre idee, che riguardano cose passeggere ed umane, e non il definitivo divino

o   presentare la fede prima della morale: la maggioranza delle persone non sono contro Cristo, ma contro la Chiesa perché ribadisce dei valori morali impegnativi. Noi non dobbiamo cedere di fronte ad essi, ma neppure metterli come primo passo in  una proposta per Cristo. Solo chi ha scelto Cristo può accettare una vita non impostata sull’egoismo, perciò è bene prima proporre Cristo, e poi si arriverà anche ai valori morali

o   invitare a sperimentare la gioia dell’incontro col Signore e del servizio dei fratelli: una persona si ama solo se la si frequenta. Il nostro invito deve essere allora quello di sperimentare Gesù o la fraternità basata su di Lui, cioè quello di partecipare a qualcosa di bello nella comunità

 

27 gennaio

La dimensione sacerdotale del sacerdozio Battesimale

(la santità e la testimonianza personale)

 

La dimensione sacerdotale: la prima dimensione della partecipazione al Mistero di Cristo è quella sacerdotale, il che significa che in Cristo tutti siamo chiamati a santificare noi stessi e gli altri, ed a offrire la nostra vita al Signore per i fratelli

 

La santità del laico: ogni persona è chiamata alla santità. Il Concilio Vaticano II insiste molto su questa verità, soprattutto nella Costituzione Dogmatica “Lumen Gentium” dove dedica un intero capitolo alla “Vocazione Universale alla Santità”. Anche i laici hanno questa stessa chiamata, che si manifesta naturalmente in un modo particolare, diverso da quello dei monaci e dei Preti. La santità del laico significa “portare il mondo a Dio e Dio al mondo” servendosi dei tre ambiti di vita loro propri: famiglia, lavoro, rapporti sociali. La difficoltà maggiore del laico nel raggiungere la sua santità è il fatto di essere cittadino di sue città: quella terrena (vita quotidiana, vita politica, problemi economici…) e quella celeste (rapporto con Dio, scelte morali secondo i principi evangelici da calare in circostanze concrete, pr3eghiera da vivere tra gli impegni quotidiani…)

 

La santità dell’animatore pastorale: chi è animatore pastorale ha un dovere in più di raggiungere la santità, ed un impegno in più, perché più che per gli altri la sua santità sarà relazionata anche ai fratelli che serve. 

Deve perciò sviluppare ancora di più:

§         assenza di ipocrisia (di secondi fini)

§         superamento dei sentimenti di antipatia personale

§         attenzione ai bisogni dell’altro

§         personalizzazione del servizio (non è un aiuto generico, ma destinato ad affrontare i tuoi bisogni concreti, perciò personalizzato alle esigenze della persona. Pensiamo alla caritas che deve aiutare un anziano difficile da accontentare, ma che è solo e deve essere un qualche modo accudito e valorizzato, perché non si senta abbandonato; pensiamo ad un catechista con un ragazzo difficile, che però non può essere abbandonato…)

§         testimonianza di appartenenza alla Chiesa, e non di opposizione alla comunità, per seguire le proprie idee

 

Quali proposte possiamo fare alla comunità:

Pensiamo alle proposte di santificazione delle persone attraverso l’aggregazione e le scelte personali.  Concretamente ogni animatore deve farsi carico di:

§         individuare, tra i propri amici e conoscenti, le persone che possono essere entusiasmate ad una scelta profonda e gioiosa di Cristo

§         creare con loro un rapporto di attenzione, e non di conflittualità con delle loro idee diverse che possono emergere

§         invitare a sperimentare forti momenti di amicizia (feste, giochi per ragazzi, belle celebrazioni particolari…)

§         offrirsi per organizzare questi momenti di amicizia e di accoglienza

§         creare con le persone conoscenti o amiche una rete di preghiera domestica, di incontri di dialogo sulla fede o su valori cristiani, purché vissuti non in modo bigotto, devozionistico, tanto meno “settario” idee personali e non del Vangelo compreso nella comunità della Chiesa…)

 

 

24 febbraio

La dimensione regale del sacerdozio Battesimale (il servizio dei fratelli)

 

La dimensione regale: nella teologia cristiana il termine “popolo regale” è sempre stato interpretato alla lice dell’insegnamento di Gesù: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc. 9,35). È perciò la dimensione del servizio dei fratelli, costitutivo della vita cristiana e logica conseguenza dell’incontro con Lui nella Parola che ci illumina e nei Sacramenti che ci rafforzano.

Si manifesta nell’amore verso le persone della comunità e nel servizio al di fuori, senza discriminazioni di razza, di ceto, di religione…

 

La conversione del cuore all’agàpe:

Anzitutto c’è l’amore per le persone della comunità (“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. Gv. 13,35). È un amore particolare, quello che Gesù insegna; un amore che ha bisogno anche di un termine nuovo, quasi inutilizzato dalla letteratura greca, ma molto presente nel Nuovo Testamento: agaph (agàpe, cioè l’amore non sensibile, sentimentale, ma di scelta volontaria, di cercare il bene dell’altro).

Prevede una vera conversione, intanto mentale, perché è un nuovo modo di vedere i rapporti umani. Istintivamente tutti cerchiamo il sentimento, e dunque amiamo coloro che c isono simpatici. Gesù ci insegna a superare il sentimento, e a servire anche gli antipatici. Non è ipocrisia, ma vero amore, perché non prevede alcuna forma di gratificazione, dunque è puro, senza alcuna incrostazione di egoismo.

 

Quali servizi ai fratelli in una comunità cristiana?:

In secondo luogo c’è il servizio per tutte le persone che ci circondano; un servizio che diventa il “fiore all’occhiello” della comunità, perché è la parte più visibile di tutto ciò che si è e si fa. Quali possono essere queste forme di servizio?

Anzitutto la costruzione di uno “spirito di servizio” in ogni cristiano (il volontariato non è una caratteristica di “chi ha tempo”, ma una condizione indispensabile per essere cristiano)

L’individuazione dei problemi sociali del quartiere e della città, che si possono affrontare comunitariamente

L’individuazione di volontari per affrontare i problemi sociali del quartiere (per esempio anziani soli, malati in casa che hanno bisogno di compagnia, bambini cui fare ripetizioni…)

L’individuazione di volontari per affrontare i problemi sociali della città (per esempio negli ospedali, per seguire anziani che non hanno nessuno… negli ospice per cure palliative, con l’Unitalsi per pellegrinaggi a Lourdes di ammalati…)

affrontare i problemi economici del quartiere, e della raccolta di risorse per affrontarli

 

Come aiutare i poveri?

Una parola sull’aiuto economico, perché oggi, soprattutto in una città come Roma, è un problema serio. Ascoltiamo cosa ci propongono i responsabili della Caritas Diocesana:

le risorse sono inferiori ai problemi, perciò

§         il primo impegno è convincere ogni cristiano che è un dovere dare tutto il possibile per i poveri (quod superest, date pauperibus)

§         il secondo è convincerli a non sprecarle dandole a chi non è realmente nel bisogno.

Poiché non è facile individuare chi è realmente ne bisogno, ci sono queste proposte:

§         ogni parrocchia aiuti i propri bisognosi, assicurandosi che siano realmente bisognosi

§         aiuti poi la Caritas Diocesana che organizza mense, dormitori, ambulatori, farmacie…

§         non si dia nulla per la strada, a persone sconosciute, né ad Enti sconosciuti o non sicuri

 

 

 

17 marzo

La comunità ecclesiale, popolo di credenti (la catechesi)

 

La Chiesa, popolo di Dio

Due modi sono importanti per definire la Chiesa: “Corpo di Cristo” (1 Cor 12,12-27: Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo) e “Popolo di Dio”.  E’ quello più usato dal Concilio Vaticano II. In quanto popolo di Dio, la Chiesa è una società gerarchica (non democratica); spirituale (Cristo è il Suo capo); vocazionale (fondata non sull’importanza dei ruoli, ma sulla santità di ogni persona, che vive secondo la chiamata personale di Dio)

 

La Chiesa vive nella Chiesa locale (Diocesi) ed in quella territoriale (parrocchia)

La Chiesa è una comunità che ha il suo centro nella Trinità, e che è coordinata dai successori degli Apostoli (i Vescovi). La Chiesa è viva perciò in ogni Diocesi. Anzitutto perciò ogni cristiano, e tanto più ogni animatore, si sente parte della Diocesi, e supera il “campanilismo” aprendosi alle proposte unitarie del Vescovo e collaborando alla loro preparazione ed esecuzione (Convegni Diocesani, ecc.).

Per poter essere attento ad ogni persona in modo capillare, il Vescovo decentra il suo compito pastorale nelle parrocchie, che non sono realtà autonome, ma sono sempre una manifestazione della Diocesi, delle quali il responsabile rimane sempre il Vescovo, anche se si deve servire di un presbitero (o di una equipe di presbiteri)

 

Questo popolo è unificato dall’unica fede

E' importante sottolineare l’unità della Diocesi, per arrivare a vedere la Chiesa non come un “supermercato della fede” dove ognuno prende ciò che gli piace e lascia ciò che non gli interessa. La nostra unità e la fede in Cristo che, nel Vangelo, ci offre tutta la verità necessaria per la nostra vita spirituale; fede che deve essere accettata integralmente. Compito della comunità cristiana è perciò tener viva questa fede in tutti, chiarendo a ciascuno quei punti che creano dubbi, ed approfondendoli in modo che siano vissuti serenamente

 

La fede è sostenuta e nutrita dalla catechesi

Questo cammino di chiarificazione, risposta ai dubbi di fede e suo approfondimento si chiama “catechesi”. Purtroppo nella nostra cultura religiosa italiana questo termine si è ridotto a “catechismo presacramentale per i bambini e ragazzi”. È invece un’attività soprattutto per gli adulti (la vivacità di una comunità cristiani misura dalla risposta degli adulti a queste proposte non presacramentali, ma “gratuite”). Compito di ogni comunità diocesana, e conseguentemente di ogni parrocchia, è individuare le vie più opportune per approfondire la fede in ogni persona:

§         adulti

§         famiglie

o        che si preparano al Matrimonio

o        che accompagnano i figli alla Comunione ed alla Cresima

o        soprattutto quelle che vogliono fare un cammino spirituale di coppia

§         giovani

§         adolescenti (il grande problema dell’accompagnamento dopo la Cresima)

§         ragazzi (il problema dell’organizzazione della catechesi in vista della Cresima)

§         bambini (dal Battesimo alla Prima Comunione)

 

 

28 aprile

La comunità ecclesiale, popolo in preghiera (la liturgia, incontro con Cristo)

 

La Chiesa vive l’more per la Trinità

Caratteristica del cristiano è vivere l’amore che Gesù ha insegnato ed ha testimoniato. Oggetto primo di questo amore è Dio, conosciuto nella pienezza della Sua intimità così come Gesù ce lo rivela, cioè Dio Trino.

 

La Chiesa è unita nell’incontro di amore con la Trinità

E questo amore è anche fonte di unità della Chiesa. Questa non è un club che si raduna nel ricordo di un personaggio ma un insieme di persone che hanno lo stesso oggetto di amore, e che hanno lo stesso desiderio, quello di incontrarlo personalmente. È questa la parola chiave di questa riflessione: mentre possiamo incontrare spiritualmente molte persone (pensandole, sentendoci in comunanza di idee…) e mentre ogni persona può incontrare Dio così nella preghiera, i cristiani possono incontrare Dio personalmente (così come si incontra personalmente qualcuno se gli si sta fisicamente vicino) nei Sacramenti.

 

Questo incontro si manifesta soprattutto nella Liturgia

Questo incontro personale si chiama: liturgia.  La preghiera di un cristiano è anzitutto unita alla preghiera dell’intera comunità della Chiesa (“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”   Mt. 18,20). E questo si manifesta nella liturgia, cioè nella

§         celebrazione dei Sacramenti

§         preghiera pubblica della Chiesa che è l’ Ufficio Divino”.

Se questi modi di pregare sono un dovere per i Presbiteri, sono comunque il modo privilegiato di preghiera anche per i cristiani laici. Sopra tutto c’è l’Eucaristia, che è l’incontro personale (non solo spirituale) col Signore, e che deve essere vista come la prima forma di preghiera. La liturgia domenicale poi diventa il momento costitutivo della comunità stessa (l’appartenenza ad una comunità non è data dall’indirizzo di abitazione nel territorio di quella parrocchia, né dal farvi delle attività, ma dal partecipare in essa alla celebrazione domenicale (quella che la Conferenza Episcopale Italiana chiama la “comunità Eucaristica”).

 

Questo incontro si manifesta poi nella preghiera personale e comunitaria

Oltre alla preghiera liturgica c’è anche la preghiera personale (“Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto” Mt. 6,6). È un completamento importante, comune a tutte le persone di fede, anche non cristiane. Il cristiano però ha una forma prioritaria di preghiera personale, che è l’ascolto della Parola del Vangelo. Mentre ogni preghiera è un parlare al Signore, l’ascolto è il dialogo pieno, che lascia parlare anzitutto Lui e che cambia la nostra vita. Ecco perché un cristiano maturo sceglie questa forma di preghiera prima di tutte le altre.

Un’attenzione alle preghiere devozionistiche (novene, culto dei santi…): non sono un male, ma con due rilievi:

§         sono forme secondarie di preghiere (vengono dopo l’Eucaristia e la preghiera di ascolto)

§         un animatore non le propone né tanto meno le caldeggia come se fossero importanti; cerca invece di aiutare ogni persona a raggiungere la maturità della preghiera di ascolto

 

 

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Ultimo aggiornamento: 20-02-14